Campioni in erba

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I campioni, si sa, ispirano fiducia. Vendono la loro arte e magari ne fanno anche un prodotto. Vuoi non credere a una leggenda? Gli eroi dello sport hanno sempre avuto appassionati devoti, soprattutto tra i bambini e gli adolescenti. Al tennista René Lacoste e alla sua polo con coccodrillo è andata bene, alla star del basket Michael Jordan e alle sue Air anche, grazie alla preveggenza della madre. Ma adesso ce n’è uno che vende fumo. In senso letterale. E tutti a New York si mettono fila per comprare la sua roba. Code, folla, entusiasmo.

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Per lui, proprio lui. Che aveva soprannomi lunghi come un’enciclopedia: Iron Mike, il Mostro del ring, il King Kong dei pugni, il conte Ugolino della boxe (Dante ci perdoni), “The Baddest Man on the Planet”, “L’uomo più cattivo del pianeta”, “ Kid Dynamite”, quello che mangiò l’orecchio di Evander Holyfield e poi lo sputò, l’uomo che non doveva chiedere mai, perché metteva così paura che gli altri si arrendevano subito, il re degli eccessi e della violenza (condannato per stupro, tre anni di carcere), quello che si divertiva a fare male e a casa sua a Las Vegas teneva una spaesata tigre in giardino: «Me ne frego se ai miei vicini non piace». Purtroppo per lui la tigre adorava la signora della porta accanto e a Mike toccò pagare 250 mila dollari di risarcimento per il balzo del felino verso la malcapitata. Insomma lui, Mike Tyson, 57 anni, nato a Brooklyn, il più giovane campione dei pesi massimi della storia, ora in pensione, ma molto attivo come imprenditore. No, non promuove né guantoni né materiale sportivo. Ma fumo, appunto, erba.

Ha una sua linea, Tyson 2.0, che sta andando fortissimo, anche se è l’ultimo nome celebre arrivato nell’industria della cannabis legalizzata. Il suo marchio di marijuana ha raccolto più di 40 mila dollari in poche ore in un mercato che è tra i più grandi e competitivi al mondo. C’era lui in persona nel negozio Conbud nel Lower East Side, a salutare i fan e a fare l’amicone come mai prima. In ottima compagnia: tra i suoi soci c’è Method Man, un membro dell’influente collettivo hip-hop noto come Wu-Tang Clan, anche perché Tyson è stato tra i primi a utilizzare le canzoni rap per l’entrata sul ring. Mike era come quella musica: sfacciato, potente, sconsiderato. Al peso si tirava giù le mutande. E sul quadrato si presentava in calzoncini neri, senza calzini, un asciugamano bianco al posto della vestaglia di raso, lo sguardo fisso sull’avversario. Method Man rappava: «These rappers are fightin’, like Tyson, when nothing else work, ya start biting». In inglese un gioco di parole: «Questi rapper stanno combattendo come Tyson, quando nient’altro funziona, iniziano a mordere». Allusione all’incontro mondiale del ’97 tra Tyson e Holyfield, subito soprannominato Bite of the Century, Morso del Secolo, perché Mike, frustrato e in difficoltà, poggiò la sua testa accanto a quella dell’altro, aprì la bocca e azzannò quello che c’era. L’orecchio.

Penserete, vabbè tra i rapper di strada c’è solidarietà. E anche tra gli ex sfidanti, tanto che Tyson e Holyfield, ora riappacificati, producono delle famose caramelle gommose a forma di orecchio, alle quali manca un pezzo. Sono di cannabis, ma anche vegane e gluten free, ci mancherebbe. Nel linguaggio moderno lo chiamano personal branding, la pratica di costruire una narrativa sulla propria persona. Volete non credere a uno cresciuto in riformatorio che si presentava con le parole: «Sono un diavolo scappato dall’inferno»? A uno che ha esagerato con tutto, alcol, sesso, droghe e funghi magici, che all’antidoping spacciava per sue le urine dei figli, che in un ranch della sua azienda nella Valle della Morte con i suoi dipendenti consuma 10 tonnellate di marijuana al mese? Evitate la battuta: una quantità da pesi massimi. L’hanno fatta tutti, anche perché la cifra sembra davvero azzardata e buttata lì per impressionare. Un’altra sua socia è Abby Rockefeller, femminista ed ecologista, tra i maggiori investitori della Hudson Cannabis che coltiva l’erba di Tyson nella sua fattoria nella valle dell’Hudson. Penserete che è solo un’omonima, invece è proprio una vera Rockfeller, tra le famiglie più potenti e più miliardarie d’America.

L’onda verde avanza: sono ormai 24 gli Stati americani dove l’erba è consentita agli adulti per uso ricreativo, questo significa che ora il 53% della popolazione statunitense vive in una giurisdizione dove si può possedere legalmente la cannabis. 24,4 miliardi di dollari il giro d’affari nel 2021. Ma qual è il segreto di quella di Tyson? Costa poco? No, al contrario, in California, il prezzo medio di un sacchetto di fiori da 3,5 grammi è di circa 23,14 dollari, mentre quella di Tyson 2.0 è di 28,44. Per questo l’ex campione si sbatte molto in prima persona: «La cannabis sta facendo qualcosa di incredibile, l’avessi fumata allora non avrei mai morsicato l’orecchio a Holyfield».

Lui allora era dipendente dalla cocaina. Il business della marijuana l’ha tirato fuori dai guai finanziari e dalla bancarotta. Ma non sarà un’avventura facile perché i marchi sostenuti dai nomi famosi devono competere con quelli più grandi che commerciano milioni di dollari di erba ogni mese. In California, il più grande mercato della nazione, solo 9 dei 30 marchi più venduti sono di proprietà o sostenuti da celebrità, tra cui Tyson 2.0, Houseplant dell’attore canadese Seth Rogen e Mirayo del musicista Carlos Santana. Però se si muovono le star, come anche il rapper Jay-Z e Cynthia Nixon, attrice di Sex and the City, hanno più peso pubblico anche nell’influenzare un cambiamento della legislazione.

A luglio scorso la stessa Nba, lega del basket professionistico americano, ha depennato la marijuana dall’elenco delle sostanze proibite per i giocatori, mostrando un approccio nuovo e più tollerante nei confronti della cannabis. Nel mondo dei giganti niente più controlli, multe, eventuali sospensioni per i recidivi. Non è la sola: l’Nhl (National Hockey League) non punisce l’uso di cannabis e la Major League Baseball l’ha eliminata dalla sua lista di “sostanze d’abuso” nel 2019. «L’85% dei giocatori dell’Nba fuma, fratello». Kevin Durant, ala dei Phoenix Suns e campione olimpico del Dream Team, ha rivelato di essere stato lui a convincere il commissioner Adam Silver a cancellare il divieto: «Non c’è stato bisogno di molte parole, anche perché quando ci siamo visti me l’ha annusata addosso. Mi calma, la fumiamo tutti, non ha alcun effetto negativo».

Lo sport ha sempre risultati sorprendenti e regala svolte decisive nella vita: Sinner va in finale, prima volta di un italiano agli Australian Open, battendo e sbattendo via Djokovic dal trono, e Tyson non ha problemi nel farsi fotografare mentre fuma un mega-spinello a Hippie Hill, al festival della marijuana a San Francisco. Una volta i campioni pubblicizzavano latte, cereali, biscotti. Ma Tyson si presentava come il nuovo Jack LaMotta che di sé diceva: «Sono un brutto peccato mortale». Era il Male della società, la brutalità più esagerata, l’esempio da non seguire, quello che dichiarava «voglio romperti la faccia, sfasciarti il cranio, farti entrare l’osso del naso dentro il cervello». Invece oggi invita a condividere le fragilità e a rilassarsi. Stay calm and carry on. Proprio vero: i ko arrivano quando non te li aspetti.

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