L’Ucraina colpisce Lukoil: con gli attacchi in profondità ora “imita” la strategia russa

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KIEV – L’attacco alla raffineria di petrolio russa della Lukoil a Volgograd, rivendicato dai servizi di intelligence di Kiev, è l’ultima conferma di un cambio radicale della strategia militare ucraina: ridurre al minimo le perdite costruendo e potenziando una “difesa fortificata”, e massimizzare i danni lanciando attacchi in profondità in Russia diretti alle infrastrutture petrolifere, all’industria militare e alla sua logistica. È la riedizione quasi speculare della strategia russa dello scorso inverno: una linea fortificata impenetrabile a Sud, la “Surovikin”, e continui attacchi alle infrastrutture energetiche e alla logistica militare ucraina. Con una importante differenza: Mosca puntava anche a tenere al gelo i civili ucraini per fiaccarne il morale, Kiev ha un obiettivo diverso.

Nelle ultime settimane gli ucraini hanno colpito duramente due volte le raffinerie Nevsky Mazut a San Pietroburgo, infliggendo danni ingenti alle strutture e alla produzione. Depositi di carburante a fuoco in Crimea sono ormai un spettacolo pirotecnico piuttosto frequente, e ora il nuovo colpo a segno alla raffineria Lukoil è contemporaneamente la prova della capacità acquisita da Kiev di colpire obiettivi a molte centinaia di chilometri dal confine, ma anche la testimonianza della difficoltà per i russi di difendere le proprie infrastrutture con un’efficace contraerea. È una notevole evoluzione paragonabile per importanza ai successi sul fronte del mare, dove l’acquisizione di nuove tecnologie e capacità ha messo in seria difficoltà la flotta russa fino a farle perdere il controllo dello spazio marittimo. Gli ucraini hanno colpito 13 navi su 70 dislocate nel Mar Nero, costringendo le superstiti ad allontanarsi dalle coste della Crimea.

La potenza dei droni

Anche sui droni il miglioramento tecnico e tattico è impressionante. La raffineria di Volgograd, così come quella di San Pietroburgo, è stata attaccata e messa ko da due soli droni. I servizi ucraini ormai rivendicano ufficiosamente queste operazioni spiegandone la portata: “L’incendio in una delle più grandi raffinerie di petrolio della Russia, a Volgograd, è il risultato di un attacco riuscito da parte della Sbu – hanno detto fonti dei servizi a Rbc – che continua a distruggere sistematicamente le infrastrutture utilizzate dalla Russia per la guerra in Ucraina. Colpendo le raffinerie di petrolio, che lavorano per il complesso militare-industriale russo, non solo tagliamo la logistica delle forniture di carburante per le attrezzature nemiche, ma riduciamo anche la capacità della Russia di rimpinguare il suo bilancio”. Il doppio del danno, economico e di approvvigionamento militare, con un uso limitatissimo di risorse: due soli droni.

Questi attacchi “sono un vero precedente e allo stesso tempo un fallimento della difesa aerea russa: i nostri droni – ha spiegato al canale Tv24 Roman Svitan, colonnello riservista e pilota istruttore – possono coprire una distanza di oltre mille chilometri dal confine. E se occorrono un centinaio di droni per distruggere un grande impianto di produzione militare, la produzione di carburante può essere eliminata con due soli droni: il primo apre la strada, l’altro dà fuoco al carburante. Questo ci consente di risparmiare i droni, che sono una risorsa ancora piuttosto limitata”.

Le stragi di civili

Nel frattempo, mentre si blinda nella “linea Zelensky” con trincee, bunker e campi minati, Kiev colpisce le immediate retrovie a Belgorod e nel Donbass occupato da cui partono gli attacchi russi. Il costo umano però drammatico in termini di civili uccisi: nelle ultime settimane ne sono morti almeno 25 nella strage al mercato di Donetsk, e almeno 20 in quella di ieri nella panetteria di Lisichansk. Ma se questo genere di attacchi nelle retrovie fa parte della guerra di attrito nelle trincee e della lotta contro la logistica militare avanzata, è a distanza che avvengono le novità più importanti. Si moltiplicano colpi molto eterogenei: solo negli ultimi giorni, a Mosca è andata a fuoco una centrale termoelettrica, ed è stato ucciso il comandante di un aereo bombardiere che ha ripetutamente sganciato missili in Ucraina. Qui non c’entrano i droni: Kiev lascia intendere che siano operazioni partigiane, e che anche queste fanno parte della strategia.

Obiettivo Crimea

L’altra direzione di tiro resta la Crimea, e non è un caso: il 30 gennaio è stata distrutta una stazione radar del sistema di difesa aerea russo a Razdolnoye, mentre un Su-34 è stato abbattuto nel Lugansk occupato. Nell’aeroporto Belbek, sempre nella Crimea occupata, gli ucraini hanno colpito “almeno tre aerei militari russi”. È il nuovo filone che avrà quasi certamente sviluppi: la battaglia per togliere ai russi il controllo dello spazio aereo come è stato fatto per lo spazio marittimo nel Mar Nero con i droni navali. Bisogna preparare il terreno per quando arriveranno gli F16, e proprio ieri il presidente Zelensky ha annunciato l’arrivo di atri due sistemi di difesa aerea ad alta tecnologia “in grado di abbattere qualsiasi oggetto volante”, anche se non ha dato dettagli per ragioni di segretezza.

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Il Wall Street Journal ha contato 62 diversi tipi di droni realizzati attualmente in Ucraina usando anche componenti stampati in 3D. Secondo la pubblicazione russa Verstka, da settembre la superficie di nuovi territori russi potenzialmente sotto attacco è aumentata di 300mila chilometri quadrati. Tra i nuovi obiettivi centrati, il 21 gennaio a Tula è stato colpito lo stabilimento Shcheglovsky Val, che produce sistemi missilistici antiaerei Pantsir-S. Come per gli attacchi alle regioni di Oryol e Smolensk, è opera del “lavoro pianificato della Direzione principale dell’intelligence”.

Se Mosca non è efficiente nel difendere le sue fabbriche strategiche, le lacune sono miele per il capo dell’intelligence militare ucraina, Kirill Budanov: alla Cnn e ad altre testate internazionali ha spiegato che le esplosioni in Russia sono il frutto “di un piano”. E pur senza rivendicarlo, cosa che i Servizi non fanno mai ufficialmente, ha detto di credere “che questo piano includa tutte le principali infrastrutture critiche e le infrastrutture militari della Russia”.

La prossima controffensiva

È questo l’ambito su cui, probabilmente, Victoria Nuland in visita a Kiev ha detto che quest’anno Putin avrà “belle sorprese” dalle forze armate ucraine. La guerra è già entrata in Russia, dice Budanov: “Vedono depositi di petrolio in fiamme, edifici industriali e fabbriche distrutti…”. In primavera, sostiene, quando l’offensiva del nemico sarà “completamente esaurita”, potremo lanciare “una nuova controffensiva”. L’ultima non è andata bene affatto, e questa previsione suona più come propaganda per tenere alto il morale degli ucraini che come realtà. Non è alla riconquista di territorio che si punta, almeno in questa fase della guerra in cui la Russia sta premendo sul fronte con più uomini e più munizioni, anche se con successi per ora molto limitati. L’obiettivo è semmai dimostrare a Mosca che non riuscirà a ottenerne di importanti, e che pagherà invece un prezzo alto perdendo l’illusione di condurre una semplice “operazione speciale” in territorio ucraino senza subire in casa propria il dramma della guerra.

Vasily Malyuk, capo dei Servizi ucraini Sbu, lo ha detto esplicitamente: “Non possiamo rivelare i nostri piani. Devono rimanere uno shock per il nemico. Stiamo preparando sorprese. Gli occupanti – ha detto a Politico – devono capire che non potranno nascondersi. Li troveremo ovunque. Li pungeremo con un ago dritto nel cuore. Ciascuna delle nostre operazioni speciali complica la capacità della Russia di fare la guerra in Ucraina. È la nostra terra, e utilizzeremo tutti i metodi possibili per liberarla”.

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