2 giugno, la centenaria che scelse la Repubblica: “Nel 1946 votai per la prima volta: fu bello come vedere il mare”

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“Io c’ero, quel 2 giugno del 1946. Votai per la prima volta, avevo 25 anni e prima le donne non avevano mai votato. Andai con mia cognata e un’amica, eravamo tutt’e tre in attesa di un figlio. Ridevamo, ci sembrava una festa, dopo tutte le sofferenze della guerra. Abbiamo anche vinto, perché votammo per la Repubblica. Dopo quel giorno, ho votato sempre. Andrò anche ai seggi per le primarie, il 20 giugno”. Romilda Mirri è nata il 20 marzo 1921 e nel suo appartamento di un caseggiato popolare della prima periferia sfoglia l’album dei ricordi. Al campanello suonano le amiche (“Esci, Romilda?”), ma preferisce stare in casa (“Ho male alle gambe”) e raccontare quel momento.

Il primo voto, ancora impresso nella sua memoria. “Ricordo la prima volta che andai ai seggi, come la prima volta che vidi il mare. Ero così felice, il 2 giugno del 1946, come lo fui quel giorno di luglio, qualche anno dopo, quando andammo a Cervia, con mio marito Dante e mio figlio. Lì ero in attesa della mia figlia più piccola, Gigliola, anche se nella foto che ho conservato non si vede”. Ricordi semplici, legati a momenti quotidiani, di una vita straordinaria: Romilda, come le ragazze della sua generazione, ha visto la guerra (“la mia gioventù è stata distrutta”), poi la Liberazione e le conquiste sociali e civili venute dopo. Il discrimine per lei resta quel giorno, la prima scheda nell’urna. C’erano già state elezioni amministrative poco prima, in cui le donne avevano avuto diritto di voto: il suo Comune però non era tra quelli coinvolti. Di fatto le donne italiane furono tutte chiamate a votare per la prima volta il 2 giugno: quella data è considerata da tutti la prima volta. “Eravamo andate a votare in una scuola di Cantalupo, vicino a Imola – racconta – . Ero contentissima, noi tutte pensavamo di tornare a vedere il bello e tornare a respirare. Per me ha vinto la Repubblica perché votarono le donne, erano soprattutto loro che volevano cambiare”. Romilda si definisce “semianalfabeta”, avendo frequentato la scuola solo fino alla terza elementare (“quando la maestra era malata, mandava sua figlia a insegnare, che faceva la magliaia”), ma capì subito che poter finalmente decidere, contare con quella croce sulla scheda, fu una conquista.

“Prima le donne non contavano niente, erano buone solo per lavorare. Quando si parlava di qualcosa, ti mandavano via. Quando veniva la sera, tra lom e scur, dovevi per forza essere in casa”. Anche se avevano partecipato alla Resistenza e avevano lavorato tanto, le donne sentirono solo quel 2 giugno che cominciavano a contare davvero. “Noi eravamo tutti antifascisti, nella mia famiglia. Quando io avevo dodici anni, mio padre fu picchiato fuori dal seggio dopo aver votato – ricorda – . A mio fratello dissero che si doveva iscrivere al partito fascista, lui rispose che non aveva i soldi per la tessera e prese un sacco di botte. Ecco, prima non si poteva dire niente, c’era la dittatura. Noi non volevamo più vivere così, nessuna di noi”. Dopo, tutto fu diverso. “Abbiamo cominciato a dire il nostro parere, ci riunivamo con “Noi Donne”, in casa mia c’era una cellula – spiega, riferendosi alla riviste femminile fondata nel 1944 che portò avanti la causa dell’emancipazione femminile – . Si parlava di tante cose. Io un giorno vinsi una medaglia perché avevo venduto, in bicicletta, il numero più alto di copie dell’Unità”. Il voto per Romilda “è una cosa molto importante, che sento dentro di me, perché non posso mai stare senza fare il mio dovere. Quando c’è stato da votare, ci sono sempre andata. Non ho mai neanche cambiato idea, a dire la verità, ho sempre votato lì. Adesso vado anche alle primarie, chiederò a mia figlia di spiegarmi un po’, mi informo, poi vado”.

Il pensiero della centenaria testimone di quel momento così importante va oggi alle ragazze più giovani, che magari voteranno presto per la prima volta. “Noi quel giorno ci siamo sentite davvero libere, dopo tanta sofferenza, dopo i bombardamenti, dopo una violenza terribile nelle nostre case, attorno a noi. Alle ragazze che non hanno mai votato dico: pensateci bene, prima di votare, riflettete tre volte, il vostro voto è importante. Non votate mai per chi vuole togliervi la libertà, perché senza si sta male”. Romilda racconta ai suoi nipoti le storie della guerra, ricorda il marito partigiano che rimase nascosto su un albero un’intera notte per sfuggire a un rastrellamento. Ma poi alla fine non ha dubbi: “Nessuna delle mie amiche ha votato per la monarchia. Noi volevamo cambiare, anche grazie a noi è nata la repubblica”.

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