Al Mottarone una settimana dopo, niente più turisti e bar vuoti. “E’ il paradiso diventato inferno”

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STRESA – Alle 13 al ristorante Eden, un secolo di storia quassù in cima al Mottarone, stanno pranzando in cinque. Di solito il sabato e la domenica con il bel tempo è tutto pieno: 60-70 coperti. “Quei poveretti sono morti là sotto e noi siamo morti nel cuore –  dice Fabrizio Bertoletti, 59 anni, terza generazione di una famiglia di ristoratori e albergatori che ha iniziato 10 anni dopo la vecchia cremagliera inaugurata nel 1911. Specialità del posto selvaggina e pasta fresca; tavoli (deserti) in terrazza e nel verde di un paradiso diventato inferno. Oggi la testa è da un’altra parte. I clienti pure. “Centenario? Non è il momento di festeggiare. Ho parlato con l’ambasciatore di Israele: ci piacerebbe, appena si potrà, fare qualcosa per Eitan”. Una settimana dopo al Mottarone: prima sole a metà, poi coperto. Tanta tristezza e, la senti salire dal bosco, l’atmosfera surreale di un luogo post-apocalittico.

Simone Vescovi è qui con la moglie. Vengono dalla bergamasca: camminano. “Mai visto il Mottarone così. Noi siamo affezionati a questo posto, è magico, ci veniamo da quando eravamo fidanzati. Oggi sembra un cimitero senza croci”. In vetta ai 1492 metri del “balcone più bello d’Europa”, adesso – chiusa chissà fino a quando la funivia – si sale solo dalla strada. Due. O la strada privata Borromea, che collega Strese-Gignese al Mottarone. O dal lago d’Orta tramite la “Due Riviere” da Armeno. Per transitare dalla strada Borromea si pagano 10 euro: il principe Vitaliano Borromeo – anima di Stresa e delle omonime isole – ha chiamato la sindaca Marcella Severino offrendosi di mettere a disposizione i nove chilometri di strada di sua proprietà dove un tempo passava il Giro d’Italia (quest’anno niente, per rispetto). Ma ieri, al casello di pedaggio, le pochissime auto l’accesso l’hanno pagato. “Visto nessuno. A un certo punto stavo per addormentarmi. L’unico pensiero che mi ha tenuto sveglio è l’idea che a pochi metri da qui sono morti due bambini”. Marcello è il bigliettaio del Parco Botanico Alpinia (anche questo dei Borromeo): 800 tipi di piante alpine, fiori rari. Visitato ogni anno da migliaia di turisti. “Ho fatto un solo biglietto da stamattina”, dice Marcello alle tre del pomeriggio. Siamo a “Alpino”, a metà percorso della filovia della morte.

“Era il nostro simbolo la funivia, come il Duomo lo è per Milano”, dice la sindaca Severino che schiuma dolore e rabbia per “quei tre assassini in carcere”. Già: era. Si parla al passato perché le prevedibili conseguenze giudiziarie della strage lo impongono. Ecco Angelo Cerutti, pensionato. Per lui il sabato all’Idrovolante Café è un rito. Il bar ristorante giù a piazzale Lido. Accanto alla partenza della funivia. Sull’ingresso sigillato dalla procura di Verbania gli organizzatori del Giro d’Italia hanno posato una corona di fiori rosa. “Mi viene da piangere, qui nulla sarà più come prima”. L’Idrovolante lo scorso week-end era preso d’assalto. “Tanti italiani, tantissimi svizzeri e francesi. Per loro era anche la Pentecoste – dice Alessandro Barbieri mentre serve due spritz -. Guardi il parcheggio e può farsi un’idea: normalmente non c’è un posto libero”. Qui sul lungolago il paesaggio è meno desolato. Di fronte, a 300 metri, c’è l’isola Bella che assieme alla funivia è una delle due attrazioni del lago Maggiore. Un po’ di gente arriva. “Manca tutto l’indotto della funivia – ragiona il titolare del ristorante Angelo Garavaglia -. Ma le ferite adesso sono altre. E chi ci pensa all’incasso…?”. Dice che se c’è una cosa che proprio non sopporta sono i clienti che gli chiedono come si arriva al punto dello schianto. Ce ne sono eh: il turismo del dolore. “Il silenzio è oro”, stringe le spalle Garavaglia.

Uno dei segni del vuoto è la defezione delle mountain bike. “Gli appassionati salivano con la funivia per poi scendere dai sentieri. Chiuso l’impianto, nessuno sale”. Solo poche bici elettriche. Torniamo in quota. L’agenda delle prenotazioni nei locali storici – Genziana, Miramonti, Casa della Neve e gli altri, cinque ristoranti e quattro alberghi – dice meno 50-70%. Bisogna pensare che la funivia trasportava 100mila turisti l’anno.  “Sarà durissima ripartire, ma prima di tutto metabolizzare la sofferenza”, commenta Antonio Zacchera, Ceo della principale catena alberghiera del lago Maggiore. La data fatidica doveva essere il 12 giugno. Per quel giorno – al netto delle norme Covid – ai piedi e in cima al Mottarone avrebbe dovuto riaprire tutto: anche l’Adventure Park. E’ anche questo di Luigi Nerini. Le scalette di legno appese agli alberi inseriti nel percorso avventura sono abbandonate. Fuori dal bar Stazione dell’Alpino c’è Manuel Cortesi, varesotto. Ferma la bicicletta e beve alla fontanella. Il passeggino di Tom stava a 500 passi da qui. “Troppa tristezza, cambierò itinerari”.

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