Al processo Open Arms l’accusa del medico a Salvini: “I profughi erano in gravi condizioni”

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“Vivevano situazioni molto al limite, erano tutti molto provati. Come si può dire che potessero stare ancora a bordo?”. Parola di Vincenzo Asaro, dirigente dell’Asp di Agrigento, salito sulla Open Arms il 20 agosto 2019 insieme all’allora procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che proprio all’esito di quel sopralluogo ha dato il via libera allo sbarco della nave e aperto un fascicolo a carico dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Il leader della Lega è in aula, siede accanto al suo legale, Giulia Bongiorno, quasi annoiato. Il sorriso lo ha riservato ai follower su facebook, cui prima dell’udienza ha dedicato il post ormai di prammatica: 

Cuffaro alla corte di Salvini. I 5 candidati non si ritirano e lui rilancia: “Voglio Palermo”

“Vi saluto dall’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo, quella degli storici processi alla mafia, dove oggi risponderò dell’accusa di sequestro di persona perché, da ministro e da italiano, ho difeso i confini, salvato vite e protetto l’Italia, le sue leggi e la sua dignità. A testa alta e col sorriso, vi abbraccio”. 

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Le stesse frasi “urlate” sui cartelloni di protesta con cui il collettivo Our Voice ha accolto il capo della Lega di fronte all’aula bunker. “La memoria è un dovere” dicono “Non possiamo dimenticare la palese violazione dei diritti umani di quell’agosto 2019”. 

Un momento della contestazione contro Salvini

Un momento della contestazione contro Salvini  A parlare in aula delle condizioni in cui si trovavano i 147 migranti dopo oltre venti giorni di permanenza a bordo è il dottore Vincenzo Asaro. E non ha dubbi. “Erano mediocri” sottolinea “Il protrarsi in quelle condizioni rappresentava un fattore di rischio molto elevato per la loro salute psicofisica. Avrebbe potuto determinare un aggravamento delle loro condizioni. Avrebbe potuto rappresentare un rischio sia per i migranti che per il personale della nave”. La nave, spiega, era affollata, tra uomini, donne e bambini non era possibile alcun tipo di privacy o separazione. Erano tutti su un ponte di circa cento metri quadri, “meno di uno a testa” sottolinea. “I migranti dormivano sul ponte della nave, non c’erano altre alternative perché non c’era nulla. Dentro i bagni alla turca potevano in qualche modo lavarsi – dice ancora il dirigente medico – Non abbiamo fatto accertamenti individuali sulle loro condizioni di salute, sarebbe stato impossibile, non c’erano spazi a sufficienza per vedere le persone una alla volta”.

“I migranti dormivano sul ponte della nave, non c’erano altre alternative perché non c’era nulla. Dentro i bagni alla turca potevano in qualche modo lavarsi” ma non avevano a disposizione cambi, né di vestiario, né di biancheria intima. Un rischio, soprattutto per le donne. Mancava anche il sapone. Per lavarsi potevano usare solo acqua desalinizzata. 

“Non abbiamo fatto accertamenti individuali sulle loro condizioni di salute, sarebbe stato impossibile, non c’erano spazi a sufficienza per vedere le persone una alla volta” spiega il medico, ma ricorda in modo preciso che a decine gli si avvicinavano per mostrargli ferite, lesioni, dermatiti. I casi più gravi, ricorda, erano stati già evacuati. Ma a bordo, rimanevano anche donne in avanzato stato di gravidanza. Il diario medico di bordo, aggiunge, elencava le problematiche più comuni, soprattutto scabbia e pidocchi. Tipiche del sovraffollamento. 

“Alcune persone si erano già buttate in mare, tentando di raggiungere le coste di Lampedusa – sottolinea il medico – Le condizioni più preoccupanti erano di tipo psicofisico”. E no, non avrebbero retto ad ulteriori giorni di navigazione, necessari per raggiungere la Spagna, come dal Viminale si ordinava. “”Stiamo parlando di persone in condizioni di grave disagio – conclude  – Provammo un sentimento di grande tristezza vedendoli. Erano in una condizione di mancanza di tutto”. Anche l’equipaggio presentava segni di stanchezza. “E faticava a mantenere la calma a bordo”. Troppo tempo ad aspettare, troppo tempo passato a guardare quella terra che non potevano raggiungere. E il terrore di essere riportati in Libia.    

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