PADOVA – Tre stelle Michelin a domicilio grazie ai riders, che tra hamburger, patate fritte e sushi sistemano con religiosa cura anche il risotto allo zafferano con spruzzate di liquirizia firmato Alajmo. I piatti dell’olimpo della gastronomia italiana sbarcano su mymenu, la piattaforma per il servizio di ristorazione a domicilio.
Da qualche giorno le creazioni dello chef Massimiliano Alajmo del ristorante padovano Le Calandre si possono gustare anche a casa. Ed è una specie di rivoluzione, già innescata nel 2020 da qualche altro collega stellato tipo Massimo Bottura di Osteria Francescana: un mondo esclusivo (e costoso) che si mescola all’universo pop delle consegne a domicilio. Contaminazioni da epoca Covid.
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“Siamo fermi, quasi immobili. Allora ci siamo detti: proviamo”, confida Massimiliano Alajmo, 46 anni, artefice insieme al fratello Raffaele di un successo che lo colloca in vetta alla prestigiosa guida ormai da 17 anni. Una consacrazione che gli ha consentito di aprire il Ristorante Quadri a Venezia, il Caffé Stern a Parigi, l’Amor a Milano e ora anche l’Hostaria a Cortina. “Non c’è nulla di improvvisato in tutto ciò, prima di deciderci abbiamo fatto una serie di prove per vedere come arrivano a destinazione i piatti” spiega lo chef.
Massimiliano Alajmo, molti dei suoi piatti portano in dote una procedura precisa per affrontarli. Non teme che questo tipo di trasporto possa compromettere tutto?
“Era il mio timore ma abbiamo scoperto che i rider stessi hanno uno zaino diviso in scomparti e che sono formati per mettere e togliere le porzioni. Un piatto come il Cappuccino di seppie al nero, uno dei miei storici, è un “bianco-nero verticale”, con la crema di patate in superficie e le seppie sul fondo. Prevede che il cucchiaio arrivi fino al fondo del bicchiere per raccogliere tutti gli elementi del piatto. Se una portata del genere arriva tutta mescolata dopo il trasporto, ovviamente perde il suo valore aggiunto”.
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Quindi avete testato personalmente il servizio?
“Un’altra prova che ha superato il nostro test: lasciare le portate confezionate con l’involucro per il trasporto circa mezz’ora, prima di mangiarle. Temevo un’alterazione, invece no”.
Ma com’è nata l’idea di sbarcare sulla piattaforma di delivery?
“Siamo a Cortina con un temporary winter restaurant e lì ci siamo organizzati con un servizio che fa consegne a domicilio in paese. Abbiamo avuto un sacco di richieste, il riscontro è stato ottimo. Il caso ha voluto poi che uno dei soci di mymenu fosse in vacanza a Cortina proprio in quel periodo. Ci ha proposto di farlo a Padova, abbiamo accettato”.
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Lei ha deciso di proporre i suoi piatti più classici, ovviamente con i prezzi del ristorante stellato: il risotto allo zafferano con liquirizia costa 35 euro.
“Non ci aspettiamo una rivoluzione del fatturato, solo chi governa pensa che con il delivery si possa campare. Noi abbiamo deciso di farlo per rimarcare una presenza, per esserci, per dare un servizio ai clienti affezionati”.
Come vi siete organizzati?
“Non è semplice l’organizzazione del servizio a domicilio per un ristorante di questo tipo. Piatti così complessi necessitano la presenza di tre o quattro cuochi. Con gli incassi di mymenu non riusciamo certo a pagare il personale: è un’operazione in perdita. Ma dà un senso di comunità”.
La sua cucina ruota anche intorno al concetto di esperienza che si vive al ristorante. Pensa che la rivoluzione dovuta alla pandemia possa in qualche modo eliminare questo parametro?
“Il ristorante è un posto che va vissuto. In queste condizioni manca tutta la parte esperienziale. Io ho fatto togliere le tovaglie perché volevo che i clienti avessero la possibilità di appoggiare i palmi delle mani sul legno grezzo dei nostri tavoli. Abbinare i sensi gusto e tatto. Chi conosce i nostri ristoranti non vedrà l’ora di tornare, questo è ovvio. È la stessa differenza che passa tra guardare un film al cinema oppure a casa in televisione. Ma questo è il momento che stiamo vivendo e anche noi ci siamo dovuti adeguare in qualche modo, sperando di ritornare presto alla normalità”.
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