Non solo grosse produzioni americane o cinema d’autore europeo: quest’anno a Cannes è presente anche quello africano, dal Maghreb fino ai Paesi subsahariani. Sono sei registi, giovani o relativamente giovani, per la metà donne. In molti casi sono passati dalla Femis, la prestigiosa scuola di cinema parigina, e vivono tra l’Europa e l’Africa. Ma le loro storie sono rigorosamente il racconto dei Paesi d’origine e di una nuova contemporaneità.
La franco-senegalese Ramata-Toulaye Sy e la tunisina Kaouther Ben Hania sono in lizza per la Palma d’Oro, mentre fanno parte della rassegna “Un certain regard” la marocchina Asmae El Moudir, il sudanese Mohamed Kordofani, il marocchino Kamal Lazraq e Baloji, nato a Lumubashi, nella Repubblica democratica del Congo, anche se oggi vive in Belgio. Non solo: africane sono pure due membri della giuria: Rungano Nyoni, regista originaria dello Zambia (ma ha poi vissuto nel Galles e oggi in Portogallo,) e la marocchina Maryam Touzani, sceneggiatrice (ha collaborato con il marito Nabil Ayouch per Much Love) e regista di Il caftano blu, in rassegna a “Un certain regard” l’anno scorso e ormai un successo internazionale.
Banel & Adama, un Romeo e Giulietta nel Senegal profondo
Ramata-Toulaye Sy, 36 anni, riesce a strappare un posto nella selezione ufficiale con il suo primo lungometraggio (caso unico in questo festival di Cannes). Il suo primo corto, “Astel” (2021), era stato girato nel Fouta Toro, nell’estremo Nord del Senegal, da dove provengono i suoi genitori. E così la storia del suo nuovo film, quella di una coppia che vive una sorta di amore perfetto in queste terre spedute. Ma i due giovani dovranno confrontarsi con le rigide convenzioni della propria comunità: la donna (emancipata, radicale e appassionata) è portatrice di modernità. L’opera è intrisa di realismo magico. Il film è stato girato interamente in pulaar, la lingua locale.
Les filles d’Olfa, jihad al femminile
Ben Hania è, invece, una regista già affermata: si era già fatta notare a Cannes nel 2017 con il film “La bella e le bestie” e nel 2020 a Venezia con “L’uomo che vendette la sua pelle” (sezione Orizzonti). “Le figlie di Olfa”, a metà tra un film e un documentario, esplora la vita della madre di una famiglia modesta in Tunisia. Ha quattro figlie, ma le due più grandi sono scomparse: sono andate a combattere per lo Stato islamico in Libia.
La mère de tous les mensonges, ovvero il non detto di una famiglia marocchina
“La madre di tutte le menzogne” è una storia in parte autobiografica della regista Asmae El Moudir, che ritorna nel suo quartiere di Casablanca, sospesa fra le vicende personali e quelle di un Paese intero (il film racconta anche le rivolte del pane che scoppiarono in Marocco nel 1981).
Goodbye Julia, nel Sudan diviso
È il primo lungometraggio di Mohamed Kordofani e il primo film sudanese mai selezionato a Cannes. Racconta la storia di Mona, cantante del Nord del Paese, che provoca accidentalmente la morte di un uomo del Sud Sudan. Cerca di riscattarsi assumendo come domestica Julia, la vedova dell’uomo defunto, senza raccontarle la verità. Anche in questo film, la storia con la esse maiuscola affiora, perché sullo sfondo ci sono eventi che portarono al referendum del 2011 e all’indipendenza del Sud del Paese.
Les Meutes, nella Casablanca violenta
Il titolo può essere tradotto come “branchi”. Hassan e il figlio Issam vivono in un quartiere popolare di Casablanca, metropoli dall’allure di “Blade Runner”. Vengono coinvolti nel sequestro di una persona, in un contesto sociale di marginali. Anche per Kamal Lazraq si tratta del primo lungometraggio.
Augure, storia surreale di stregoneria
A differenza degli altri registi africani, tutti formati in grandi scuole, Baloji, che ha diretto Auspicio (in italiano), è un totale autodidatta. Belga di origini congolesi, personaggio originale e fantasioso, è pure musicista, poeta e stilista. Il suo film racconta la storia di Koffi, considerato uno stregone (zabolo) e cacciato di casa dalla madre. Ma vi ritornerà dopo 15 anni, accompagnato da Alice, la futura moglie. Poetico e onirico questo primo lungometraggio di Baloji, che ha già riscosso in passato un discreto successo come rapper.
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