«Il vero punto non è costruire una scuola qualsiasi o una strada qualsiasi, nei tempi più rapidi possibile, ma costruire buone scuole e buone strade. Concentrarsi solo sulla velocità rischia di andare a discapito di trasparenza, concorrenza, tutele dei lavoratori e in definitiva della qualità delle opere pubbliche». Giuseppe Busia, presidente dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, chiede al governo di correggere il nuovo Codice degli appalti. Avvocato e professore universitario, una carriera tra ministeri e Autorità, Busia evita con cautela da tecnico le polemiche politiche, ma mette in fila le perplessità sulla “deregulation” celebrata dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini: «Se le regole sono buone, ma si modificano le soglie così da applicarle solo a una minima parte degli appalti, vengono in realtà svuotate», dice. «Il codice trasforma in regola quelle che prima erano deroghe emergenziali, perdendo di vista quello che ci chiede l’Europa».
Dice Salvini che il Codice porterà più velocità, più cantieri, più lavoro: una svolta. Non è d’accordo?
«Ci sono elementi positivi, come un profondo investimento nella digitalizzazione delle gare. Ma anche elementi negativi, a cominciare dal sacrificio della trasparenza. È giusta l’enfasi sui tempi – troppo lunghi – ma procedere per affidamento diretto non è la strada: rischia di escludere le imprese migliori, danneggiando la Pubblica amministrazione, le aziende e i cittadini».
Tutte le gare sotto i 5 milioni di euro, il 98%, potranno essere assegnate senza avviso pubblico.
Teme che i Comuni affidino i lavori all’amico dell’amico?
«Sì, vedo il rischio. Specie per gli affidamenti diretti sotto i 140 mila euro, dall’acquisto delle sedie ai lavori per imbiancare la scuola.
Potrebbero essere chiamate le persone più vicine al dirigente, al sindaco o all’assessore. E ridurre la trasparenza aumenta i rischi corruttivi, specie ora che le risorse sono tante».
Appalti, ecco il codice della discordia: “Un salto indietro di cinquant’anni”
Sono le lungaggini burocratiche, sostiene Salvini, che creano occasioni di corruzione.
«È vero che la complicazione normativa inutile è occasione di corruzione, ma non possiamo buttare via tutti i controlli. La riduzione dei tempi andrebbe compensata rafforzando le regole sul conflitto di interessi e la trasparenza, consentendo a più imprese di partecipare e di far emergere eventuali scorrettezze».
Saltano anche i limiti ai subappalti. Dietro ai passaggi dall’impresa “A” all’impresa Z” c’è spesso una corsa al ribasso di salari, sicurezza, diritti: si potrà evitare?
«È stata la Corte europea a dire all’Italia chenon poteva mettere limiti al subappalto. Ma poichélungo la catena c’è una riduzione dei costi, e spesso dei diritti, questo andrebbe bilanciato con maggiore responsabilizzazione.
Abbiamo proposto che il primo affidatario dei lavori sia responsabile in solido dei subappalti. Spero che nella versione finale del Codice questa proposta sia integrata».
L’Europa potrebbe contestare il Codice, un altro fronte con l’Italia?
«Potrebbe, almeno su due punti. Il primo è la qualificazione delle stazioni appaltanti, un impegno del Pnrr. Con il governo Draghi avevamo messo a punto delle linee guida per misurare la loro capacità, per fare in modo che la macchina di gare complesse si potesse guidare solo con la patente. Ma il Codice prevede che non serva per gare sotto i 500 mila euro, la maggioranza. Il secondo punto riguarda gli affidamenti alle società in-house, controllate dagli stessi enti locali. Fino ad oggi Anac teneva un registro per verificarne i requisiti, nel Codice non compare».
Tutte queste criticità non finiranno paradossalmente per allungare i tempi?
«Qualunque nuovo Codice richiede tempo per essere metabolizzato: qualche rallentamento potrebbe esserci. Ci sono poi delle misure in cui il risparmio di tempo iniziale potrebbe rivelarsi alla fine una perdita di tempo. Penso all’allargamento dell’appalto integrato, in cui lo stesso soggetto progetta e realizza i lavori. Quando il Comune si ritrova con un progetto esecutivo non conforme alle attese, e accade spesso, deve iniziare una trattativa. Il tempo non si può misurare sull’avvio della gara, ma su tutta l’esecuzione».
Anche le gare del Pnrr prevedono ampie deroghe, eppure la spesa non decolla.
«L’investimento che serve, e in cui siamo in ritardo, è assumere giovani capaci e preparati per gestire le gare sul territorio. Senza, rischiamo di non fare il Pnrr, o di sprecare i soldi». Dal Codice è sparito anche l’obbligo di garantire una quota di lavoro a giovani e donne. Nel Pnrr queste quote ci sono, ma le deroghe sono tantissime.
Si prende atto che non funzionano?
«È un passo indietro ingiustificato. Il Pnrr ha previsto delle deroghe perché bisognava evitare il rischio di bloccare i lavori, ma la regola restava. Così invece si rinuncia a dare una direzione di lungo periodo, ad usare gli appalti pubblici come motore di crescita per il Paese».
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