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Arte e vino: quelle etichette che rendono omaggio a Michelangelo

È il 1549 quando, abbarbicato a oltre venti metri da terra su un’impalcatura, Michelangelo Buonarroti, alle prese con la Cappella Sistina, prega suo nipote Lionardo di inviare a Roma alcune damigiane di vino da offrire a Paolo III. Un “dono genuino” per un Papa che non faceva mistero di preferire due botti a otto camicie. Mezzo millennio dopo è merito della complicità di arte e vino se sulle colline al confine tra le province di Firenze e di Siena, nel cuore del Chianti classico, nasce l’azienda vitinicola Nittardi, sulle ceneri di una torretta di difesa nota, fin dal XVI secolo, con il nome di Nectar Dei. A una manciata di passi da quella proprietà che, dal dopoguerra in poi, si era lasciata alle spalle i fasti di Buonarroti e dei suoi eredi che l’hanno timonata per oltre 250 anni, vive Horst Antes, artista. È lui a suggerire a Peter Femfert, brillante gallerista tedesco di stanza a Francoforte, di valutarne l’acquisto.

“Non si trattava di fare un’affare, ma di salvare un matrimonio – scherza il primogenito Leon, oggi al comando di un’azienda di nicchia che produce 130mila bottiglie l’anno destinate al mercato nazionale ed estero –. Dopo un anno in Germania mia madre (Stefania Canali, professione storica, ndr) era fermamente convinta di voler tornare in Italia. Sarà stato il clima rigido o la difficoltà nello stringere relazioni, fatto sta che l’aut aut era di quelli da non lasciare scampo. E siccome papà era innamoratissimo di lei decise di andare a dare un’occhiata, accogliendo il suggerimento del suo amico Antes”. È amore a prima vista. La coppia vi si trasferisce e decide di lanciarsi in una nuova avventura, quella del vino. La prima annata risale al 1981 e si parte con una peculiarità che accompagnerà l’azienda per tutta la vita: da allora etichetta e carta seta di Chianti classico Casanuova di Nittardi Vigna Doghessa (Sangiovese in purezza coltivato a 450 metri d’altezza) sono affidati a un artista, per rendere omaggio a Michelangelo e alle sue grandi passioni.

Anche a Chateau Mouton Rothschild sono artisti di fama mondiale a disegnare le etichette fin dal 1924 (ce ne sono di Dalì, Mirò, Chagall, Picasso, Andy Warhol…), ma fino a quel momento nessuno aveva pensato di estendere la cifra dell’arte alla velina. Il primo a rispondere alla chiamata alle arti è stato l’abruzzese Bruno Bruni. L’ultimo, in ordine cronologico, è una delle icone della video art, Fabrizio Plessi, che presenterà i suoi lavori il 26 a Venezia, nel suo atelier e il 30 a Milano, nello spazio di Niko Romito. Nel mezzo ci sono stati Emilio Tadini, Valerio Adami, Friedensreich Hundertwasser, Eduardo Arroyo, Mimmo Paladino, Yoko Ono, Tomi Ungerer, il pittore Pierre Alechinsky del Gruppo CoBrA, Dario Fo, Otto Götz e Hsiao Chin, Mikis Theodorakis, Johannes Heisig e molti altri.

Il destino, ancora una volta, ci ha messo del suo: “Perché Plessi?” racconta Leon: “Mamma e papà trascorrono spesso un periodo di tempo a Venezia e qui, tra uno Spritz e in cicchetto, in una delle loro enoteche preferite, hanno conosciuto quest’uomo che è tra i fondatori della video art. Anche in questo caso è stato un colpo di fulmine. Tra loro si è instaurato subito un grande feeling e mio padre ha deciso di esporre le sue opere a Francoforte e a Seul, prima di affidargli la realizzazione della nuova etichetta e della nuova velina”. Si tratta di un flusso d’oro (battezzato L’Oro di Venezia per l’etichetta e The Golden Age per la velina), che grazie al sapiente intervento di uno specialista tedesco, regala l’effetto tridimensionale a chi la guarda.

Plessi vuole rappresentare il trascorrere del tempo che è un concetto molto interessante per chi si occupa di viticoltura – continua Femfert jr –. Seguiamo l’orologio dettato dalla natura, siamo abituati a ragionare sullo scorrere delle lancette”. E Leon lo è sicuramente più di altri, grazie alla laurea in Filosofia conseguita a Firenze, dopo gli studi in Germania, che lo ha portato fin dall’inizio a considerare il vino cultura “come l’arte, la musica e la poesia”. Come per la cultura, non si realizzano capolavori senza rimboccarsi le maniche. “Dopo gli studi ho fatto un master in Borgogna sul vino e poi ho lavorato per un anno in un’azienda cilena, per poi tornare a casa. Dal 2013 mi occupo dell’azienda di famiglia e sono felicissimo perché ho il privilegio di fare il lavoro più bello del mondo: posso viaggiare, conoscere persone e culture diverse, aprire loro le porte della nostra storia. È un universo sfaccettato, nonostante le difficoltà che quotidianamente ti ritrovi a dover affrontare”. Oggi Nittardi è una realtà ben consolidata non solo in Italia ma anche negli Usa, in Canada, in Europa, Asia e Giappone. “Puntiamo sulla qualità e non sulla quantità. Certo, gli esordi non sono stati semplici. La nostra prima annata di Chianti è del 1983, che fu un’ottima annata per altri produttori. Ecco, non la consiglierei – dice ironico –. Viceversa quella del 1985, di cui conserviamo ancora qualche bottiglia per le grandi occasioni, è veramente eccezionale. Direi che è da quella data che i miei genitori hanno iniziato a fare sul serio”.

Sotto la guida esperta di Carlo Ferrini, enologo di fama internazionale e Giorgio Conte, direttore commerciale, nei primi anni Novanta è stata interamente ristrutturata la cantina, mentre sul finire dello stesso decennio la Fattoria si è estesa anche in Maremma, vicino alla costa della Toscana meridionale, in cui sono stati finora messi a dimora 20 ettari di vigneto con uvaggi autoctoni e internazionali. Da questo territorio provengono due rossi mediterranei di Nittardi: Ad Astra, che ai vitigni internazionali affianca una buona percentuale di Sangiovese e Nectar Dei, a base di Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah e Petit Verdot. Il 2012 ha anche visto la nascita del primo vino bianco maremmano: BEN, un vermentino in purezza. E per la quarantesima annata, l’anno prossimo, c’è una sorpresa: una grande mostra dedicata a tutte le etichette d’artista, che dopo essere state esposte sia a Milano che a Roma, negli anni precedenti, fanno parte della mostra permanente della tenuta Nittardi, dove l’arte spunta en plen air: sono ben 45 le installazioni artistiche sospese tra le vigne, a sugellare un legame antichissimo e ricco di fascino.



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