E’ stato il primo pugile africano a combattere e conquistare il titolo mondiale dei pesi massimi. Gerrie Coetzee, sudafricano, è morto a 67 anni: gli avevano diagnosticato un tumore ai polmoni. La grande boxe lo conobbe nel giugno del 1979, e fu un ingresso prepotente. A Montecarlo si sbarazzò con un tremendo ko al primo round di Leon Spinks, l’uomo che l’anno prima aveva buttato giù dal trono Muhammad Ali prima di essere a sua volta detronizzato nella rivincita. Fu il lasciapassare per la scalata mondiale, nel successivo mese di ottobre: a Pretoria, davanti a quasi novantamila spettatori affrontò Big John Tate, un nero americano, in un match di portata mediatica enorme. Coetzee ci arrivò con l’etichetta di ‘speranza bianca’: andava di moda appiccicarla ad un bianco che si faceva largo nel pesi massimi, complice il digiuno nella categoria più prestigiosa che durava dagli anni cinquanta con lo svedese Ingmar Johanson.
“Non sono la speranza di nessuno, combatto per tutti, bianchi e neri”. A Coetzee quella definizione non piaceva, ed a Pretoria combattè veramente per tutti i sudafricani. Bianchi e neri che – eccezione per l’epoca – furono ammessi allo stadio insieme. Combattè, anche se in quel momento ancora non lo sapeva, anche per Nelson Mandela, che da ragazzo il pugile lo aveva fatto e che in carcere ascoltava alla radio le sue imprese. Madiba non lo dimenticò, e quando il regime dell’Apartheid era finalmente al tramonto lo volle accanto a sè: “Fu uno dei momenti più emozionanti quando mi chiamò nel suo ufficio e mi rivelò di essere mio tifoso”.
Coetzee non riuscì a battere Tate, così come non riuscì a farcela l’anno dopo contro l’ex marines Mike Weaver, che aveva spodestato Tate e che lo battè al tredicesimo round. Dopo quella sconfitta Coetzee si trasferì negli Usa dove rilanciò la sua carriera fino ad avere la terza chance mondiale contro Michael Dokes, un pugile maledetto che successivamente scivolò agli inferi e finì in carcere. A Richfield nel settembre del 1983 fu la volta buona: Dokes fu battuto per ko al decimo round, Coetzee lo colpì con tale violenza che nei giorni seguenti fu operato per una frattura alla mano destra.
Il governo in carica in Sudafrica cercò di strumentalizzare la straordinaria vittoria e l’allora ministro degli Affari esteri Pik Botha lo andò ad accogliere all’aeroporto. Un regno che però durò poco: il titolo glielo strappò Greg Page, che lo mise ko in un ottavo round incredibilmente più lungo per un errore del cronometrista. Durò di più la moda di cercare la speranza bianca, fino a quanto la caduta del Muro di Berlino e l’arrivo dei colossi dell’est – su tutti i formidabili fratelli ucraini Klitschko – tolse qualsiasi significato a quella terminologia. Circa Coetzee, non seppe resistere al fascino del ritorno: ne fu stregato un paio di volte tra il 1993 e il 1997, con alterne fortune. Ma le cose più importanti le aveva già fatte, sul ring e soprattutto fuori.
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