Cacciari: “Largo ai giovani, non è più tempo di Santoro. Letta? Troppi galli attorno”

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Professor Massimo Cacciari, che campagna elettorale stiamo vivendo?

“Molto strana. Si stanno sfidando partiti che hanno governato insieme fino a ieri, affrontando problemi colossali come la pandemia e soprattutto la guerra, e che ora si combattono”.

La destra parla di ministeri come se avesse già vinto.
“Non ha affatto vinto ancora”.

Tutti i sondaggi sono unanimi nel darla in netto vantaggio.
“Ce la farà se riuscirà a non esplicitare davvero il candidato leader per Palazzo Chigi e se saprà silenziare gli aspetti più demagogici e straccioni di Matteo Salvini, offrendo nel contempo ricette di “destra sociale”, ben lontane da Fratelli d’Italia. Ma è su questo terreno che può entrare in concorrenza anche con settori dell’elettorato del Pd”.

Ma il candidato premier non è Giorgia Meloni?
“Non è detto neanche questo. Dipenderà dagli accordi sottobanco che sono in corso nel centrodestra e di cui poco sappiamo in realtà. Devo però dire che Meloni si sta muovendo con intelligenza, e da qui al voto farà di tutto per essere credibile agli occhi dell’establishment e dell’Europa, distinguendosi nettamente da Salvini. Allo stesso tempo sa benissimo che non le basta un mese per accreditarsi”.

È colpito dalle promesse mirabolanti del centrodestra?
“Tutti sanno che c’è un’unica agenda ed è quella che impone l’Europa se vogliamo che la Bce continui ad acquistare i nostri titoli, ed è stato ufficialmente dichiarato che lo farà solo a condizione che gli adempimenti del Pnrr saranno eseguiti. Non ci sono margini di scelta se non vogliamo finire in default. È così e basta”.
La persona giusta per affrontare tutto questo non era Draghi?
“Infatti questi nodi verranno al pettine in autunno. Draghi è stato così duro nel suo ultimo discorso in Senato perché sapeva che serviva una maggioranza solida per affrontare la prova, e non perché, come dice qualcuno, era stufo di fare il premier”.

Cosa deve fare la sinistra?
“Ma la sinistra non esiste più, smettiamola una volta per tutte”.

La convince il tentativo che sta mettendo in piedi Letta?
“Massì, mi sembra una strada obbligata: Calenda, Renzi, Di Maio, devono esserci alla fine, per forza. Ma la coalizione dovrebbe esprimere un comune sentire, questo è già più difficile, l’ultimo che vi riuscì fu Romano Prodi con l’Ulivo nel 1996”.

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In cosa consiste qui la difficoltà?
“Ma dalla convivenza dei tanti galletti, ovvio”.

Il centrosinistra se la gioca o no?
“Ma certo, se fa una cosa di centro, alla Macron. Se la partita è Macron contro Le Pen, allora vince Macron”.

E chi sarebbe il Macron italiano?
“Non c’è. Un buon sostituto potrebbe essere soltanto un programma coeso tra i personaggi che ho citato prima intorno al Pd di Letta. Ma niente assemblaggi di cocci. Niente alleanze straccione. Una coalizione che possa attrarre i moderati, i delusi dell’elettorato di Forza Italia, i leghisti del Nord preoccupati per la svolta a destra, la grande borghesia imprenditoriale che guarda con inquietudine a Giorgia Meloni. Questo spazio c’è, è ampio. Il centrosinistra se fa così è pienamente in partita”.

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Quindi non la convince l’idea di Santoro di fare un partito radicale?
“La trovo un’operazione velleitaria. Capisco che gli siano saltati i nervi, a me capita ogni cinque minuti, ma poi bisogna guardare in faccia alla realtà: e la realtà dice che non è più il tempo di Santoro e di Cacciari”.

Ma quello spazio politico esiste?
“Sì, c’è, ed è pure ampio, se si pensa che la metà degli elettori diserta ormai le urne, uno spaventoso crollo di rappresentanza, ma questo spazio lo potranno riempire le nuove generazioni. I veri rappresentanti del 30 per cento dei giovani disoccupati e della metà dei sottoccupati, l’esercito delle donne che non possono lavorare, i giovani ricercatori che per lavorare se ne devono andare all’estero. E potremmo continuare con l’elenco. La cosiddetta sinistra in questi ultimi vent’anni li ha ignorati”.
 

I sondaggi che danno l’M5S al 10 per cento sono sovrastimati?
“Un partito che nel 2018 aveva preso più del 30 per cento non è che poi scompare del tutto. Un terzo dei voti gli rimarrà, ma certo sono venute meno le ragioni della loro politica dopo tutti questi anni al governo. E quindi dovranno inventarsi qualcosa di nuovo. Non sarà facile perché si sono rivelati i più attaccati alle poltrone. E poi Conte come leader di un movimento di protesta è proprio fuori parte”.

Questa destra è pericolosa?
“Macché.
È una destra estrema, sovranista.
“A parte il fatto che durante la campagna elettorale l’estremismo sovranista scomparirà, non vi è alcun pericolo fascista, pericolo per fortuna cessato negli anni Sessanta e Settanta. Se non ci fosse stato l’argine dell’intesa che su questo punto vi è sempre stata tra il Pci e la maggioranza democristiana saremmo anche noi finiti in mano ai colonnelli. Ma non è più quel tempo, per fortuna”.

Non c’è il rischio di una svolta autoritaria?
“Bisogna intendersi su cosa significa autoritarismo. Se significa Stato totalitario sul modello dei primi cinquant’ anni del Novecento è ridicolo pensare a un suo ritorno. Sono forme di controllo, repressione, e neutralizzazione del conflitto, ormai arcaiche. Le forme di repressione e di controllo sono assai più sofisticate, e queste sì minacciose per la nostra democrazia, che potrà salvarsi solo con quelle profonde riforme istituzionali di cui nessuno parla più”.

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