Calabria, il diktat della Lega ai militanti: “Guai a chi nuoce al partito, la parola d’ordine è silenzio”

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Parola d’ordine, silenzio. Soprattutto con i giornalisti. Fresca di restyling interno, la Lega calabrese si dà le sue “regole di condotta”. Arrivano a tutti i militanti per mail e sotto forma di “promemoria”, ma più che indicazioni sembrano ordini perentori. Pena, sembra dare a intendersi, l’esclusione dalla giostra di nuove nomine interne messe in agenda per dopo le regionali.  A firmare è il neocommissario regionale, l’avvocato Giacomo Francesco Saccomanno, che forse memore dei modi carbonari di “Calabria libera” – lega regionale calabrese di ispirazione secessionista poi confluita in Forza Italia –  di cui è stato tesoriere, sembra dare parecchio peso alla riservatezza.  

E va subito al dunque, indicando “le condotte assolutamente vietate”. Prima fra tutte, “comunicare ai giornali e ad i media eventuali insofferenze o altre notizie che possano nuocere al partito” perché a quanto pare la stampa è il nemico, bravo solo a mettere zizzania. Stesso motivo per cui ai leghisti calabri è assolutamente vietato “commentare negativamente azioni o provvedimenti assunti dagli organi del partito o da rappresentanti dello stesso nelle istituzioni”. Soprattutto adesso che il leader della Lega, Matteo Salvini, sembra intenzionato a lanciare la candidatura a governatore del presidente facente funzioni Nino Spirlì, con buona pace dei vecchi accordi con le altre forze di centrodestra e dei mal di pancia di non pochi leghisti calabresi. 

Medesima ispirazione Minculpop sembra animare anche il divieto numero tre: i militanti calabresi del Carroccio sono tenuti a non “assumere atteggiamenti non consoni allo stile della Lega e cioè prudenza, umiltà, condivisione, responsabilità, credibilità, militanza, rispetto e, comunque – si specifica per l’ennesima volta – adesione alle direttive del partito”.  

Per lungo tempo dilaniata da una guerra per bande più che da una lotta fra correnti, la Lega calabrese sembra intenzionata più che a cambiare passo a trovare un metodo per lavare – strettamente in famiglia – i panni sporchi. E “per evitare che si possa dire ‘io non sapevo’ ” – scrive il neocommissario regionale Saccomanno –  a tutti ricorda che “ogni problematica esistente si discute all’interno delle sedi ufficiali del partito dove si devono trovare delle soluzioni condivise sempre nell’interesse del movimento”. Insomma, se si deve litigare, lo si fa all’interno e meglio che nessuno lo venga a sapere. Anche perché il nuovo assetto del partito in regione è tutto da ridisegnare e – si fa intendere – non si tollereranno sgarri alle regole.  

“Il partito – recita il promemoria –  saprà riconoscere l’impegno di ognuno e saprà assumere quei provvedimenti che possano comprovare, appunto, la costanza di ognuno e l’attività proficua portata avanti”. A insindacabile giudizio del neocommissario, ovviamente. E la posta in gioco è alta, perché in ballo ci sono le liste per le regionali, come la gerarchia interna tutta da ridisegnare dopo l’ennesimo “congelamento” di nomine e incarichi.  

Allo scopo, Saccomanno inizia a dettare le regole di autocandidatura, o meglio “manifestazione di disponibilità”, per gli aspiranti dirigenti interni che dovranno presentare il curriculum, certo, ma anche certificato penale, quello attestante i carichi pendenti e quello relativo alle indagini in corso. Tutti immacolati, ovviamente.  

Criteri che potrebbero mettere non poco in difficoltà militanti come Pasquale Malena, uomo forte del Carroccio nel cirotano e braccio destro dell’avvocato dei vip Cataldo Calabretta che la Lega ha voluto come numero due del partito in Calabria e commissario della Sorical, società in house di gestione delle risorse idriche. Malena è infatti fresco di condanna a 12 anni e 9 mesi nel maxiprocesso antimafia “Stige”. Se poi tali diktat fossero anche retroattivi qualche problemino potrebbe averlo anche Domenico Furgiuele, l’unico deputato leghista calabrese, attualmente indagato nell’inchiesta Waterfront della procura antimafia di Reggio Calabria con l’accusa di aver fatto parte di un cartello di imprenditori costituito per aggiustare le gare. Ma di questo – fedele alle regole che lui stesso ha snocciolato – Saccomanno non fa menzione. 

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