Calabria, la Consulta: “Il commissariamento della sanità è parzialmente incostituzionale. Non basta cambiare il vertice”

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Il commissariamento della sanità calabrese è parzialmente incostituzionale e va rafforzato con una squadra di funzionari a supporto del vertice individuato da Roma. Potrebbe risultare assai indigesta ai vertici di Regione Calabria la sentenza con cui la Consulta ha parzialmente accolto il ricorso presentato contro il “Decreto Calabria bis”, che nel novembre 2020 ha inasprito ulteriormente il regime commissariale della sanità.  

Una norma incostituzionale per la giunta calabrese perché lesiva delle naturali prerogative delle istituzioni locali, pienamente legittima per i giudici che però non mancano di bacchettare anche il governo Conte 2 che l’ha partorita.  

Di certo si mette un punto fisso: il commissariamento della sanità calabrese – emerge dall’articolata pronuncia redatta dal giudice Luca Antonini – deve essere “utile”, dunque si giustifica solo se effettivamente garantisce la risposta a quelle esigenze di salute e per troppo tempo compromesse dalla Regione. Una condizione possibile da rispettare –  si spiega – solo se il commissario ha tutti gli strumenti – non solo in termini di mezzi, ma anche di uomini – per rendere la sua gestione efficace. In alternativa, si “rischia di produrre, a causa dell’impotenza cui si destina il commissario, un effetto moltiplicatore di diseguaglianze e privazioni in una Regione che già sconta condizioni di sanità diseguale”.  

La fotografia scattata dai giudici in alcuni passaggi della pronuncia è impietosa: dopo dieci anni di regime commissariale lo straordinario debito sanitario accumulato si è ridotto di pochissimo, passando da 104,304 mln di euro iniziali a € 98,013 mln, i livelli essenziali di assistenza non erano e non son garantiti, la mobilità sanitaria cresce e “ha ormai assunto dimensioni imponenti”. 

Un pantano su cui tutti concordano, Regione, avvocatura dello Stato, giudici. Diverse le soluzioni immaginate. La politica calabrese tuona contro il commissariamento, Roma lo considera necessario, per la Consulta lo Stato non può limitarsi a un “mero avvicendamento del vertice, senza considerare l’inefficienza dell’intera struttura sulla quale tale vertice è chiamato a operare in nome dello Stato”.  

Traduzione, tocca a Roma fornire il personale necessario alla struttura del commissario. Il decreto Calabria bis, che proprio su questo punto è stato bocciato, ha escluso “la possibilità che il commissario ad acta sia sin dall’inizio assistito da una adeguata ed efficace struttura di supporto extra regionale, in quanto ha invece preteso affidare il compito di fornirla alla stessa amministrazione regionale”. Una situazione paradossale – sottolineano i giudici –   se è vero che “sono proprio la grave inefficienza e il condizionamento ambientale di quest’ultima che hanno concorso a determinare le condizioni dell’attivazione del potere sostitutivo”. 

Così confezionata – si spiega in un altro passaggio della pronuncia – la norma “finisce per far dipendere l’ottenimento del contingente di supporto – e quindi, in definitiva, l’effettività del potere sostitutivo esercitato dal commissario ad acta – proprio dal comportamento della Regione, nonostante, peraltro, la conflittualità e il conclamato peggioramento dei rapporti reciproci”. Spetta dunque al governo non solo scegliere il commissario, ma selezionare anche la squadra che lo affianchi. Incostituzionale poi – aggiungono i giudici – è anche avere imposto alla Regione di mettere a disposizione un contingente “minimo” anziché “massimo” di 25 unità di personale regionale.  

La Regione deve dunque rimanere inerte? Secondo il governo che ha confezionato il Decreto Calabria bis sì, per la Consulta, no. È incostituzionale che non si preveda che la regione possa presentare un piano di rientro per l’assegnazione del contributo triennale di solidarietà di 60 milioni di euro che sia alternativo a quello elaborato dal commissario. Al pari di quest’ultimo, deve poterlo sottoporre Consiglio dei ministri, cui spetterà di valutarlo idoneo o meno. E potrebbe anche rivelarsi utile perché “dimostrerebbe la volontà della Regione di intraprendere un cammino per uscire dalla lunga situazione di stallo”. Tutti punti su cui il governo è chiamato a intervenire.

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