Campagna vaccinale centralizzata e record di dosi: così il Regno Unito ha abbattuto ricoveri e decessi per Covid

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LONDRA – Come va la campagna vaccinale nel Regno Unito? E che impatto sta avendo dopo oltre 27 milioni di inoculazioni, ossia oltre la metà della popolazione adulta residente oltremanica, di cui 873mila solo ieri, record di sempre e ben superiore in proporzione a quello degli Stati Uniti (che registrano 3 milioni circa al giorno)? Risposta: sta andando molto bene, come previsto nei piani nel governo Johnson. Che, dopo i disastri di inizio pandemia, ha individuato le categorie di persone da vaccinare subito, anche con una sola dose, ritardando la seconda a 12 settimane: e cioè gli anziani, i pazienti delle case di riposo e le persone fisicamente fragili e con patologie pre-esistenti, oltre a infermieri, medici e poliziotti.

Nessuna priorità invece per altre categorie come insegnanti. Un approccio ben diverso dall’Italia, dove ci sono ancora ultra novantenni in tutto il Paese che aspettano ancora una dose di vaccino. Inoltre, nel Regno Unito il sistema è decisamente centralizzato dalla sanità pubblica, e ci sono ben poche discrepanze a livello regionale, a differenza di quanto accade in Italia.

Questo perché l’obiettivo di Boris Johnson è stato sempre uno sin dall’inizio: abbattere drasticamente il numero di decessi e ricoveri per Covid, dando il prima possibile a decine di milioni di persone almeno una dose di vaccino, ritardando al massimo la seconda. Qualcosa che con il preparato di AstraZeneca è consigliato dagli stessi produttori e dall’università di Oxford che lo ha ideato, mentre Pfizer si è sempre opposta a questa strategia, rimarcando più volte che i test del suo vaccino erano stati condotti solo con una somministrazione distanziata di tre settimane tra prima e seconda dose. Ma il governo Johnson e le autorità mediche hanno tirato dritto: l’ente del farmaco Mhra ha sempre assicurato che non fosse un problema ritardare la seconda dose anche per Pfizer.

I fatti stanno dando ragione a Boris Johnson. Lo si vede dai risultati della campagna vaccinale, con una diffusione dell’immunizzazione seppur parziale nei soggetti più esposti: dopo tre mesi di somministrazioni i decessi oramai sono stabilmente ben sotto i cento al giorno e i ricoveri in ospedale sono poche decine al giorno, su un totale di 987 ricoverati al momento. Numeri decisamente ridotti, se pensiamo che al picco della pandemia a metà gennaio, si registravano fino a quasi 5mila ricoveri al giorno, travolgendo gli ospedali. Questo perché gli studi inglesi sulle 27 milioni di inoculazioni dicono che, in media, con una prima dose di qualsiasi vaccino (in attesa della seconda ritardata), il rischio di contagio per una persona si riduce del 60%, ma soprattutto quello di essere ricoverati per Covid si abbatte dell’80% e quello di morte addirittura dell’85%. Cifre che ovviamente salgono esponenzialmente, fino al 100%, con la seconda dose per ciò che concerne decessi e ricoveri.

C’è un dato che però nelle ultime settimane è rimasto stabile, nonostante il lockdown ancora in essere dai primi giorni di gennaio: il numero dei contagi. Che rimane intorno ai 6-7mila al giorno, nonostante nel Regno Unito sia tutto chiuso da due mesi e mezzo. Tuttavia sono numeri che non allarmano particolarmente gli esperti, almeno al momento, perché sono piuttosto fisiologici visto che sono su 1 milione o un milione e mezzo di test al giorno. Nonostante l’uso delle mascherine sia finalmente cresciuto a buoni livelli al chiuso (all’aperto non sono obbligatorie nel Regno Unito) c’è sempre qualcuno che non rispetta le regole e continua a incontrarsi nelle case private. Inoltre, dall’8 marzo scorso hanno riaperto le scuole, cosa che inevitabilmente fa aumentare i contagi. Ma il governo ha sempre detto che si tratta di un rischio calcolato, e ora ridotto dal fatto che i nonni e spesso i genitori degli studenti sono stati vaccinati con almeno una dose. In totale circa il 95% degli adulti over 60 residenti nel Regno Unito ha ricevuto almeno una dose di vaccino.

Ciò che preoccupa il governo Johnson sono invece le varianti del virus, soprattutto quella sudafricana e brasiliana, per cui sono state attivate misure draconiane, sul modello Australia, per questi e altri Paesi nella lista nera, come la quarantena e la “reclusione” in albergo per due settimane a spese dei viaggiatori in arrivo. Varianti che potrebbero mettere a repentaglio la campagna di vaccinazione. È per questo che al momento le vacanze all’estero per gli inglesi ora sembrano improbabili anche quest’estate: non per la positiva situazione domestica ma per quello che sta accadendo soprattutto in Europa, ossia una nuova espansione dei contagi. “Non rimarremo ciechi e sordi di fronte a ciò che sta accadendo nella Ue”, hanno detto un paio di ministri dell’esecutivo nelle ultime ore preoccupati dalla terza ondata in Europa, secondo loro già fuori controllo. I viaggi all’estero potrebbero essere dunque scoraggiati, mediante quarantene molto rigide.

Tutto questo per proteggere quello che è inevitabilmente un successo britannico, dopo i disastri della prima fase della pandemia da parte del governo Johnson. Vari articoli negli ultimi giorni sui quotidiani inglesi hanno ripercorso un anno di crisi Covid e quanto il primo ministro abbia sottovalutato il coronavirus all’inizio, accarezzando la tentazione dell’immunità di gregge in un primo momento. Poi però, nel febbraio 2020, esplose un focolaio terribile a Downing Street, lo stesso Johnson ha rischiato di morire per Covid e da quel momento il primo ministro è cambiato, forse per sempre. Un dottor Jekyll e Mr Hyde che è costato oltre 120mila morti per Covid, di cui la gran parte proprio nei primi mesi di pandemia a causa degli errori del governo britannico. Ma ora Johnson è autore di un indiscutibile successo sulla campagna vaccinale, il 21 giugno, secondo i piani, il Regno Unito tornerà alla normalità e dovrebbe finire anche il distanziamento sociale. Per questo ora il primo ministro è estremamente cauto, illuminato. E non vuole più sbagliare.

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