Carlo Petrini: la castagna salverà il mondo

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Una settimana fa, sempre dalle pagine di questo sito, scrivevo di legumi e della loro importanza per l’uomo, per il pianeta e per l’economia di tante comunità. E naturalmente della loro squisitezza, ad esempio in ricette come pasta e fagioli, riso e piselli e zuppe di pane e legumi. Non vi ho citato un altro abbinamento storico, ma recupero subito: la zuppa di lenticchie e castagne. Si tratta di una ricetta che ci arriva addirittura da Marco Gavio Apicio, l’uomo a cui dobbiamo tanto della nostra conoscenza della cucina nell’antica Roma. Ecco dunque introdotta la protagonista di questa lettura odierna: la castagna.

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Ognuno di noi ha ben impresso nella mente un ricordo legato a questo meraviglioso frutto: e non dico meraviglioso tanto per dire, ma perché scoprirne le proprietà, la storia, la cultura, suscita stupore o, meglio, per l’appunto meraviglia. Proverò allora ad accompagnarvi in questo viaggio alla scoperta della castagna e della sua coltivazione, la castanicoltura, anche attraverso la testimonianza di una persona che, dalle mie parti, è considerato “il custode dei castagni”: Ettore Bozzolo, castanicoltore che da trent’anni salva i castagneti della Val Mongia, in provincia di Cuneo, ma a pochi chilometri dal confine con la Liguria.

Il valore storico della castagna, lo scrivo anche se pare scontato farlo, è quello alimentare: ha contribuito a sfamare intere generazioni di montanari grazie alle sue proprietà. Un alimento nutriente, ricco di carboidrati, ma salutare grazie all’alto contenuto di fibre, senza dimenticare l’apporto di proteine e sali minerali come magnesio, potassio, calcio, ferro e zinco, oltre a rivelarsi una fonte di acidi grassi essenziali. La cultura, anzi la civiltà, del castagno nasce insomma per questa ragione: è stato un frutto fondamentale per assicurare qualcosa da mangiare a chi abitava i territori montani, quelli che oggi chiameremmo aree interne. E poi, a differenza di tantissimi altri frutti, è facilmente conservabile: pensate a quando non c’erano corrente elettrica, frigoriferi e supermercati. In tutta Italia, d’inverno, in montagna chi aveva la fortuna di avere qualche capo animale si nutriva principalmente di latte e castagne.

Tutto questo accadeva poco più di settant’anni fa, non in un’altra era: poi, nel secondo dopoguerra e grazie all’industrializzazione, le cose sono cambiate. Urbanizzazione e spopolamento della montagna hanno portato a un rapido abbandono dei castagneti: la pianta sacra, come la chiama Bozzolo, un po’ dappertutto è finita nel dimenticatoio, e con lei anche l’abitudine a inserire con regolarità i suoi frutti nella dieta dell’autunno. Un peccato, viste le virtù. Ma, per fortuna, il castagno non porta rancore: il mio amico castanicoltore, che di boschi ne ha recuperati tanti, assicura che questa pianta ha una resistenza e una voglia di vivere fantastica, e che basti tornare a volergli bene, a pulirlo, a curarlo, per vederlo rinascere. «E farlo sarebbe un bene per tutti», aggiunge.

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Si fa in fretta a spiegare i motivi di questa affermazione: dal punto di vista ambientale, i castagni contribuiscono a catturare anidride carbonica dall’atmosfera; da quello morfologico, assicurano la tenuta dei versanti delle montagne altrimenti esposti a frane e smottamenti. Benefici che richiedono il lavoro di molte persone: cioè occupazione e lavoro in aree oggi abbandonate, dove non si vive più, non esistono attività, non si produce reddito. E, badate bene, le castagne oggi non sono più quel cibo povero di cui probabilmente si portano ancora dietro una pesante etichetta: anche sul mercato, i prezzi hanno un riscontro importante, simile a quello delle più quotate nocciole piemontesi. Un castagneto ben tenuto, poi, significa bellezza: dove c’è bellezza c’è valore e ci può essere turismo, un turismo sano, di persone che sanno cogliere il valore di cose semplici ma non per questo scontate.

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Concludo con una riflessione regalatami da Ettore Bozzolo: ci sono tre colture che hanno disegnato il paesaggio dell’Italia, mi ha detto. Due vengono già oggi giustamente celebrate e valorizzate e sono l’olivo, lungo le coste e laddove l’influsso del Mediterraneo arriva più forte, e la vite, vero e proprio simbolo della collina del nostro Paese. Attorno alla terza, il montano castagno, negli ultimi anni hanno cominciato a riunirsi coltivatori, appassionati, persone che lavorano per promuoverne la cultura e il valore: solo come Slow Food, ad esempio, in tutta Italia abbiamo già sette Comunità dedicate alla castagna, tre Presìdi e quattro segnalazioni sull’Arca del Gusto. E l’aspetto più promettente è che tutte queste persone, anche se geograficamente lontane, hanno cominciato a fare rete, a collaborare, a mobilitarsi in favore del castagno spinti da valori condivisi che guardano alla tutela di una pianta che giustamente reputano speciale: è un vero e proprio movimento dal forte valore anche politico. Non credete anche voi che sia giunta l’ora che anche questa coltivazione e questo frutto ottengano da tutti i riconoscimenti che meritano?

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