Carlo Petrini: legumi, verdure, pesci. La zuppa risorge e unisce l’Italia

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Scrivendo alcuni articoli per questa rubrica spesso ho richiamato una parola: zuppa. Piatto che unisce il Nord al Sud – ogni regione ha la sua zuppa – ma che non ha sempre goduto di grande popolarità. Spesso infatti è considerata cibo per poveri o comunque alimento per persone deboli di stomaco. Legati a questa percezione si sono sviluppati modi di dire popolari come: “è sempre la solita zuppa”, “o è zuppa o è pan bagnato”, “ha fatto tutta una zuppa”, e così via. Oggi la zuppa si è ripresa la sua rivincita, diventando un piatto simbolo legato a un regime alimentare salutare ed è ricomparsa prepotentemente nei menù di molti ristoranti.

Zuppa di verdure  Un excursus nel mondo delle zuppe ci regala diverse tipologie. Escludendo quella di latte – a cui vanno i miei ricordi di bambino – e quella inglese, possiamo annoverare quella di legumi, di verdure e anche di pesci, che varia da regione a regione e assume nomi diversi: brodetto, buridda, cacciucco o boiabessa. Prima di proseguire, però, è necessario fare chiarezza: innanzitutto zuppe e minestre non sono la stessa cosa.

Per capire meglio la differenza partiamo dal nome. Secondo molti studiosi, il termine zuppa deriva dal celtico e significa fetta di pane inzuppata. La zuppa è molto più densa delle minestre e, solitamente, non prevede l’aggiunta di pasta o di riso, ma è spesso accompagnata con fette o dadolate di pane. A partire dal Medioevo, è stata vista come un cibo del popolino, perché non contenente carne. Anzi, spesso i nobili sostituivano i piatti con grosse fette di pane dove adagiavano il companatico. Gli avanzi dei pani venivano dati alla servitù che li mettevano a cuocere in marmitte con verdura e cereali. Oggi, grazie alla ricerca di una dieta salutare per il nostro corpo e per l’ambiente, le zuppe stanno ritornando di gran moda.

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Se poi, in particolare in questa stagione, giriamo l’Italia delle osterie, i menù – da Nord a Sud – presentano la cisrà (una minestra di ceci e costine tipica del Piemonte), le innumerevoli versioni della pasta e fagioli, le zuppe di pane e cavolo nero (che si possono poi ribollire), i ciceri e tria (una leccornia salentina che vede eccezionalmente l’aggiunta di pasta fritta). E ancora legumi secchi o cereali (con cicerchie e farro a fare da contraltare a ceci, fave, lenticchie, fagioli, orzo), pancotti preparati secondo le consuetudini regionali. Poi ci sono zuppe povere e altre sontuose, altre frutto della storia e di incontro di popolazioni. Un esempio è la jota che, attraversando il Carso, l’Istria e l’Isonzo e trovando in ogni area giuliana le sue varianti, ha legato indissolubilmente il suo nome alla città di Trieste.

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Sicuramente meno veloce da preparare di un piatto di pasta, magari condito con un sugo già pronto, la zuppa dà molte soddisfazioni, specialmente in queste giornate più fredde. E poi, una volta avviata in realtà la preparazione è semplice, e con il suo cuocere lento, il leggero rumore del sobbollire è una piacevole compagnia. Ma vediamo di elencarne le virtù, consapevole di dimenticarne qualcuna. Sono economiche, gustose pietanze anti-spreco (si possono usare verdure che non sono più appetitose crude), fantasiose (ce ne sono per tutti i gusti, basta sfogliare A tavola con brodi e zuppe di Slow Food Editore), nutritive (fonte di fibre e minerali e, se si aggiungono i legumi, anche di proteine), leggere (se non si vanno ad arricchire con troppi condimenti o con la carne di maiale), non conoscono età (vanno bene per tutte le generazioni), fanno bene alla salute e sono idratanti (forniscono un buon apporto di liquidi). E da ultimo, molte zuppe riscaldate sono buonissime. Davvero non si può dire “è la solita zuppa”.

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