Carlo Verdone si racconta al Salone e annuncia: “Tornerò a fare cinema. Devo fare gli ultimi colpi”

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«Vorrei tornare al cinema. Speriamo che riprenda, per lo meno quello italiano. Ora con Vita da Carlo 2 spero di aver fatto una stagione qualitativamente superiore alla prima. Sono piccoli film ma chiusa la terza e la quarta stagione per forza che torno al cinema, devo fare gli ultimi colpi». Così Carlo Verdone, tra gli ospiti più attesi del terzo giorno del Salone internazionale del Libro di Torino ha soddisfatto le speranze di tanti fan e appassionati che lo attendono sul grande schermo. Fan che non perdono una puntata della sua serie, che si sono messi in fila ben prima dell’incontro dove lo stesso Verdone è arrivato con qualche minuto di ritardo, a causa del traffico e dei disagi dovuti anche al maltempo.

Il tema dell’incontro con Verdone era “La lezione del “Neorealismo italiano”, accompagnato da Paolo Di Paolo in collaborazione con Treccani, alla Sala Oro sponsorizzata da Intesa San Paolo. Ha parlato di neorealismo ma ha raccontato anche molti aneddoti autobiografici. Dalla felicità di essere a Torino “qui sono nato artisticamente, ho girato No-Stop tre mesi in via Verdi”. E sulla sua infanzia “Ho avuto la fortuna, quando abitavo con i miei genitori, di avere a casa a cena quasi tutti, da De Sica e Rossellini». In quelle cene, ricorda, si parlava di cinema. Anche di film cult come Roma Città Aperta dello stesso Rossellini, «il film è costato 10 milioni ma non avevano niente, le lampade erano limitate, usavano gli abbaglianti e anabbaglianti delle auto e con gli stuzzicadenti fissavano le veline sulle luci».

Ricorda anche i suoi di film. Da Viaggi di Nozze, «un film drammatico», ai Compagni di Scuola, «quando uscì i miei amici mi odiarono, in segreteria telefonica mi dicevano “si esce male da questo film”, mi dicevano che non facevo ridere. Ma non avevo sbagliato film, il tempo è il miglior giudice e mi ha dato ragione. Sono stato molto coraggioso, mi sono beccato in faccia il copione dal produttore (Cecchi Gori, ndr), mi disse che era logorroico, che non si ride mai. Centoventi pagine che volavano in tutto l’ufficio, ci ho messo tre quarti d’ora a mettere a posto». Poi alla prima visione, Cecchi Gori «mi abbracciò, mi disse “scusami”, tu reciti meglio di come scrivi, hai fatto un gran bel film». Oggi glielo dicono anche quegli stessi amici che lo criticarono, «dicono “è il tuo miglior film”, perché era onesto, era l’epoca in cui le coppie si separavano a raffica».

Ricorda i tanti attori incontrati e anche scoperti lungo la carriera, Sora Lella, Mario Brega,  Fabrizio Bracconeri «che oggi mi rimprovera che non l’ho chiamato». E di come tutto sia cambiato «oggi mancano grandi caratteristi del cinema, tutti vogliono fare i protagonisti, è quello il dramma».  Sul suo stile, spiega, «non sono un depresso. Se vuoi ammazzare un regista, un attore, uno sceneggiatore devi fargli venire la depressione, è il male peggiore per un artista. Diciamo che il mio è temperamento crepuscolare, leopardiano. Ho avuto tanti dolori da piccolo, ho perso persone care. Una mia zia a cui ero molto affezionata morì in casa, ho avuto un anno di problemi, mi nascondevo sotto il letto, fui curato con barbiturici dal neurologo. Sono stato male, avevo dei tic. Poi morì mia nonna, a cui ero affezionato, anche il mio migliore amico a 14 anni. Mi hanno portato ad avere un carattere certe volte triste ma mi sono sempre riscattato perché devo anche guardare la realtà e riproporre i difetti delle persone».

E precisa, «perché la vita in fin dei conti non può essere tutta una risata, è fatta anche di momenti di sconforto, di difficoltà, di solitudine». Per questo porta in scena personaggi «che cerco di assolvere, non riuscirei mai a raccontare un personaggio che mi sta antipatico, perfido. Non ho l’asprezza di Monicelli, amo profondamente la vita, anche in persone che hanno sbagliato, penso a una redenzione possibile per tutti. Cerco di amarli ugualmente e di raccontare facendo ridere, sottolineando loro difetti, Non sono cinico». Stile che nel tempo è cambiato, «prima costruivo film su personaggi ora adatto personaggi alle storie». 

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