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Case efficienti: la direttiva Ue fa scattare la maggioranza sulle barricate. Fdi: “Patrimoniale camuffata”

Minaccia di aprirsi una crepa tra Italia ed Europa, sul tema della casa. Oggetto del contendere: l’aggiornamento della direttiva europea che riguarda le prestazioni energetiche degli edifici.

Un testo – partito nel suo iter europeo ormai più di un anno fa – ancora oggetto di limature alla Commissione ambiente del Parlamento di Strasburgo, dove dovrebbe esser votato nelle prossime settimane (9 febbraio è la data in calendario per la Commissione, per arrivare a metà marzo all’approvazione definitiva). Intanto, però, la polemica divampa. E il partito della premier Giorgia Meloni sale sulle barricate. Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, ha già depositato una risoluzione in Parlamento “per chiedere che il governo intervenga per scongiurare l’approvazione di una norma che danneggerebbe milioni di italiani”, ha scritto in una nota.

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La paura di dover ristrutturare 9 milioni di edifici su 12

Nel testo, Foti ricorda che la revisione rientra nel “pacchetto “Fit for 55”, segna le politiche energetiche nazionali con un rilevante impatto per il comparto edilizio”. La modifica alla direttiva presenta “una serie di norme che dispongono interventi obbligatori sugli immobili volti a fare scomparire quelli con ridotte prestazioni energetiche, secondo una tempistica troppo ravvicinata e senza prendere in dovuta considerazione le peculiarità del patrimonio immobiliare italiano”.

Già al suo debutto, il testo aveva fatto molto discutere. In un primo momento, si era addirittura ventilata l’ipotesi di vietare la compravendita di immobili energivori qualora non fossero stati svolti lavori di efficientamento. E il calendario per i lavori era ancora più stringente. Poi il testo è stato ammorbidito. Ma ora che si avvicina la fase calda di discussione europea, e pendono 1.500 proposte di emendamento da parte degli eurodeputati, le associazioni di categoria sono tornate all’attacco. A preoccupare Foti, che raccoglie l’allarme lanciato dai costruttori e dai proprietari di immobile, è la proposta di compromesso che prevede che “gli edifici residenziali e le unità immobiliari dovranno raggiungere dal 1° gennaio 2030, almeno la classe energetica E, inoltre dal 1° gennaio 2033, almeno la classe di prestazione energetica D“. Salti che – si stima – richiederebbero un taglio dei consumi energetici del 25% con lavori importanti quali cappotto termico, infissi, caldaie e via dicendo. Nel 2050 si dovrebbe arrivare allo status di emissioni zero.

Si parla di edifici, dunque, e non di appartamenti. Su questa base, arriva la stima dell’Ance – fatta propria dalla risoluzione di Foti – a far scattare l’allarme. In Italia, si stima, gli edifici ad uso residenziale sono 12.420.0000, per un totale complessivo di abitazioni pari a quasi 32 milioni; lo stock edilizio italiano ha più di 45 anni o è stato costruito nel periodo antecedente l’entrata in vigore della legge 30 marzo 1976, n.373, recante “Norme per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici”. Se la proposta di direttiva non dovesse essere modificata nella parte relativa alle tempistiche e alle classi energetiche, si stima che dovranno essere ristrutturati oltre nove milioni di edifici residenziali.

L’accusa di patrimoniale mascherata

La direttiva dovrebbe escludere gli edifici di interesse storico, le seconde case, le abitazioni indipendenti inferori a 50 metri quadri. Ma gli scettici dicono che è un ombrello insufficiente per i nostri – particolarissimi – centri urbani. Per Foti nella direttiva, in ogni caso, manca “per gli Stati membri, la sufficiente flessibilità per adattarsi al contesto nazionale, per valutarne la fattibilità, le necessità economiche e verificare la capacità finanziaria dei proprietari e dei conduttori, chiamati ad approntare gli interventi predetti”. E quindi la conclusione che “per migliorare le prestazioni energetiche di milioni di edifici, in un arco temporale così limitato, è necessario disporre di obiettivi realistici; la proposta di direttiva oltre a rappresentare un rischio per i proprietari e per il valore degli immobili, costituisce anche un serio pericolo per le banche e per le loro garanzie: una riduzione generalizzata del valore del patrimonio immobiliare italiano, farebbe conseguentemente emergere un problema creditizio”.

In sintesi, per il partito della premier “si va verso la direzione di una tassazione eco-patrimoniale” e così “si generano le condizioni di impoverimento degli italiani e più si creano problemi per il sistema creditizio italiano”. Altri rincarano la dose: per Alfredo Antoniozzi, vice caporgruppo di Fdi alla Camera, la direttiva “è abominevole”. E Maurizio Gasparri (Fi) l’Ue ha “cervellotiche intenzioni”.

Stessa idea, quella di una “patrimoniale camuffata che va a ledere i diritti dei proprietari”, rilanciata dalla Confedilizia. Secondo la quale, senza un ulteriore ammorbidimento delle regole, dovranno essere ristrutturati in pochi anni milioni di edifici residenziali. “Senza considerare che in moltissimi casi gli interventi richiesti non saranno neppure materialmente realizzabili, per via delle particolari caratteristiche degli immobili interessati. Inoltre, i tempi ridottissimi determineranno una tensione senza precedenti sul mercato, con aumento spropositato dei prezzi, impossibilità a trovare materie prime, ponteggi, manodopera qualificata, ditte specializzate, professionisti ecc”. Su questo, se non altro, l’esperienza del Superbonus ha dimostrato quanto sia difficile tenere il passo di una domanda impazzita. “Nell’immediato – dice poi l’associazione dei proprietari – l’effetto sarà quello di una perdita di valore della stragrande maggioranza degli immobili italiani e, di conseguenza, un impoverimento generale delle nostre famiglie. Per migliorare le prestazioni energetiche di milioni di edifici, è necessario porsi obiettivi realistici. Occorrerebbe, soprattutto, agire attraverso misure incentivanti e non imponendo a Paesi diversissimi fra loro obblighi pensati dietro le scrivanie dei palazzi di Bruxelles. Si è scelta, invece, la strada della coercizione, senza neppure prevedere, in capo agli Stati membri, un’adeguata flessibilità per adattare le nuove norme ai contesti nazionali”.



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