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Caso Gregoretti, La parte civile “vigila” sulla terzietà del giudice. Lamorgese e Di Maio in aula al processo contro Salvini

CATANIA – “Vigileremo, valuteremo attentamente l’operato del giudice il cui comportamento deve essere improntato alla sobrietà. Ci sono sembrate fuoriluogo le dichiarazioni del giudice Sarpietro alla stampa dopo l’audizione di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Vediamo oggi come va e poi valuteremo cosa fare”. L’avvocato Corrado Giuliano, parte civile dell’Associazione AccoglieRete, getta la sua bomba all’ingresso dell’aula bunker di Bicocca che oggi ospita una nuova udienza del processo Gregoretti a Matteo Salvini.

La parte civile agita lo spettro della ricusazione del giudice Sarpietro? “Non ancora ma stiamo molto attenti perché  la terzieta’ del giudice e’ una questione molto delicata” risponde il legale.

“Spero che Di Maio ricordi, che non faccia come altri ( il riferimento è ai tanti ‘non ricordo’ dell’ex ministro Toninelli) e che Lamorgese racconti come sono andate le cose. I fatti sono fatti che uno sia nella stessa maggioranza o no”.

Matteo Salvini, anche oggi nell’aula bunker di Catania nei panni di imputato modello, affronta con queste aspettative l’udienza più delicata e al tempo stesso imbarazzante tra quelle preliminari che, entro Pasqua, dovranno portare il giudice Nunzio Sarpietro a decidere se rinviarlo a giudizio per sequestro di persona per aver bloccato per sei giorni a bordo della nave Gregoretti 135 migranti soccorsi nel Mediterraneo a luglio 2019.

Sul pretorio, come testimoni, toccherà a due dei ministri riconfermati da Mario Draghi e dunque oggi del governo sostenuto dalla maggioranza di cui fa parte la Lega, Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio. Ma con entrambi i rapporti non sono proprio dei più cordiali. Alla Lamorgese, che gli è succeduta al Viminale ed è riuscita nei mesi scorsi a portare a casa l’obiettivo della demolizione dei decreti sicurezza fiore all’occhiello di Salvini, il leader della Lega ha rivolto critiche molto aspre imputandole la responsabilità dell’aumento dei flussi migratori verso l’Italia. E con Di Maio la rottura, con toni altrettanto aspri, è stata tutta politica.

Oggi sarà proprio Di Maio a dover dire al giudice se, nell’estate 2019, quando decise di non far scendere i migranti dalla Gregoretti prima di ottenere la certezza del loro ricollocamento in Europa, Matteo Salvini fece di testa propria o se invece la scelta fu condivisa dal primo governo Conte o se fu la traduzione in atto amministrativo di una linea politica contenuta nel contratto di governo.

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A Luciana Lamorgese, invece, il gup chiederà se la linea del “prima i ricollocamenti poi gli sbarchi” riconosciuta dall’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte come propria, tanto che le procedure con l’Europa venivano attivate da Palazzo Chigi, sia stata applicata anche da lei, dunque nel secondo governo Conte. Portando come esempi diversi altri sbarchi in cui i migranti sono stati trattenuti a bordo delle navi per diversi giorni, anche più del caso Gregoretti.

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Ma al ministro dell’Interno verrà chiesto conto anche di quel cambio di rotta riscontrato nelle ultime settimane quando, nell’incipienza della crisi di governo, le procedure sulla gestione dei soccorsi e degli sbarchi sono state gestite in automatico dalle Capitanerie di porto, dal ministero dei Trasporti e del Viminale procedendo in maniera del tutto diversa rispetto a prima. E cioè prima lo sbarco dei migranti e poi le procedure per il ricollocamento avviate per altro dagli uffici del ministero dell’Interno e non più da Palazzo Chigi. Un meccanismo, per altro sancito anche dal nuovo Piano Sar ( ricerca e soccorso) approvato nel silenzio generale con decreto ministeriale delle Infrastrutture e dei Trasporti il 4 febbraio scorso. E’ stato così che a febbraio, prima la Ocean Viking e poi la Open Arms hanno avuto concesso il porto di Augusta in tempi rapidissimi quando erano ancora molto lontane dalle coste italiane. Senza aspettare l’impegno degli Stati europei per la redistribuzione dei migranti che pure resta uno dei punti cardine della politica migratoria dell’Italia confermata dal premier Mario Draghi nel suo programma di governo. 



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