Caso Navalnyj, gli Usa varano sanzioni contro la Russia

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New York – Arrivano le prime sanzioni dell’era Biden contro la Russia. Sono sul caso di Aleksej Navalnyj, l’oppositore arrestato e condannato al carcere. La decisione dell’Amministrazione Usa di annunciarle oggi ha un valore simbolico e politico: coincide con un analogo annuncio dell’Unione europea. Joe Biden ha voluto così sottolineare che d’ora in avanti la politica verso Vladimir Putin sarà oggetto di un’attenta concertazione con gli alleati della Nato e con l’Unione europea. La Casa Bianca rilancia l’appello a Mosca perché Alexej Navalnyj venga liberato.

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Le sanzioni sono di tipo finanziario e ad personam: colpiscono una lista di individui legati a Putin e al suo sistema di potere (tra questi anche il primo vice capo dell’amministrazione presidenziale, Serghei Kiriyenko, il direttore dei Servizi segreti dell’Fsb, Aleksander Bortnikov e i vice ministri della Difesa, Aleksei Krivoruchko e Pavel Popov), bloccando loro ogni accesso a conti bancari e altre attività finanziarie negli Stati Uniti. I responsabili del National Security Council, la cabina di regìa della politica estera e strategica della Casa Bianca, nel ribadire l’importanza della coesione con gli alleati europei, hanno anche ammesso che il valore delle sanzioni annunciate è soprattutto politico e simbolico. Non hanno un impatto rilevante sull’interscambio economico o finanziario tra Stati Uniti e Russia, peraltro già sceso ai minimi termini.

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Biden vuole segnalare a Mosca che l’atteggiamento è cambiato rispetto alla presidenza di Donald Trump. Va ricordato che malgrado le evidenti e mai dissimulate “affinità personali” fra Trump e Putin, anche l’ultimo presidente repubblicano fu costretto a varare sanzioni contro la Russia, sotto la pressione dei parlamentari repubblicani, del Pentagono e del Dipartimento di Stato. Sulla concertazione con l’Unione europea continua a gravare un’ombra: la decisione della Germania di andare avanti con il gasdotto russo Nord Stream 2, un progetto che l’America ha sempre considerato un grave errore strategico, fin dai tempi di Barack Obama. 

 

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