Censis, per 3 italiani su 4 è sempre più difficile stanare le fake news

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L’intelligenza artificiale si sarà pure rincretinita, almeno quella di ChatGpt, impigritasi dopo l’exploit da studentessa modello, ma per più di tre italiani su quattro riconoscere la disinformazione e le fake news diventa sempre più complesso. Pure per via della manipolazioni – testuali, fotografiche, di fonti – che i cervelli artificiali riescono ad elaborare.

L’ultimo rapporto Ital Communications-Censis, che si chiama proprio “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale”, rileva che per il 76,5% della popolazione le fake news sono sempre più sofisticate e difficili da smascherare, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. C’è pure però quel 29,7% di italiani, quasi uno su tre, che fa rappresenta i negazionisti delle bufale, quelli che credono e scrivono e twittano che non si debba parlare mai di fake news ma solo di notizie vere che vengono deliberatamente censurate da media e palinsesti e fatte passare come false.

Ora che anche l’informazione sia talvolta parziale è un po’ la scoperta dell’acqua calda, ma il negazionismo è altra cosa. E prolifera, dice sempre il rapporto, in particolare i più anziani (il 35,8% sono over 64enni) e tra chi ha un basso livello di scolarizzazione (è d’accordo il 40,4% di chi ha al massimo la licenza media).

Ancora: se per il 58,9% l’Ai può diventare un supporto ai professionisti della comunicazione, per il 75,1% della popolazione invece con l’upgrading tecnologico sarà sempre più difficile controllare la qualità dell’informazione. E poi c’è la paura, umana, diffusissima, al nuovo, alla rivoluzione del modo di studiare, lavorare, apprendere.

E allora, che fare? La stragrande maggioranza degli intervistati (l’89,5%) pensa che sia necessario creare un’alleanza stabile tra tutti gli stakeholder che hanno interesse a far circolare un’informazione attendibile e di qualità, per diffondere una maggiore consapevolezza sui pericoli della cattiva informazione e innalzare le competenze della popolazione.

Giuseppe De Rita, presidente del Censis, afferma ad esempio che “tanto opinionismo e poca informazione generano confusione e notizie false; lo hanno dimostrato il Covid prima, la guerra poi e oggi il riscaldamento climatico. Gli italiani hanno bisogno di una rete di professionisti dell’informazione di cui fidarsi, che li aiutino anche ad avere maggiore consapevolezza di come riconoscere fonti e notizie di qualità”.

Per Ivano Gabrielli, direttore della polizia postale, bisogna erigere “un argine, ma lo strumento penale è limitato. Fondamentale è dunque la prevenzione per far prevalere la corretta informazione e agevolare così l’opinione pubblica”.

Alberto Barachini, sottosegretario all’Editoria, ritiene che un aspetto positivo ci sia: “Gli italiani si stanno rendendo conto del valore delle notizie vere e del disvalore che hanno le fake news. Ed è fondamentale comunicare notizie in maniera rigorosa e irreprensibile. Dobbiamo lavorare – aggiunge – affinché l’intelligenza artificiale sia di supporto al lavoro umano e giornalistico ma non diventi un sostituto”.

E lo stesso per Domenico Colotta, founder di Ital communications, secondo cui “l’intelligenza artificiale va gestita ma allo stesso tempo va considerata un’opportunità anche nel mondo della comunicazione. Un bene primario, anche perché crea centinaia di migliaia di posti di lavoro”.

Mentre per Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, il tema è un altro: “Imporre un codice internazionale (anche fiscale, ndr) ai giganti del web, così come abbiamo regolamentato la circolazione delle auto o degli aerei”.
Cos’altro dice il rapporto? Il 64,3% degli italiani utilizza un mix di fonti informative, tradizionali e online, il 9,9% si affida solo ai media tradizionali e il 19,2% (circa 10 milioni di italiani in valore assoluto) alle fonti online. Social media, blog, forum, messaggistica istantanea sono espansioni del nostro io e del modo di vedere il mondo: è il fenomeno delle echo chambers, cui sono esposti tutti quelli che frequentano il web e soprattutto i più giovani, tra i quali il 69,1% utilizza la messaggistica istantanea e il 76,6% i social media per informarsi. Più di un italiano su due è convinto che, di fronte al disordine informativo che caratterizza il panorama attuale dell’informazione, sia legittimo rivolgersi alle fonti informali di cui ci si fida di più.

E torniamo ai negazionisti: il 34,7% degli italiani è convinto che ci sia un allarmismo eccessivo sul cambiamento climatico e il 25,5% ritiene che l’alluvione di quest’anno sia la risposta più efficace a chi sostiene che si sta progressivamente andando verso la desertificazione. Quelli che ritengono che il cambiamento climatico non esista proprio e che sia tutto “maltempo”, “un incidente”, sono il 16,2% della popolazione. Emerge, poi, all’interno del corpo sociale una comprensibile preoccupazione per la sostenibilità economica della transizione ecologica, che secondo il 33,4% della popolazione richiederebbe sforzi e investimenti economici che non ci possiamo permettere e che ci costringerebbero a fare un passo indietro negli standard di benessere e qualità della vita ormai acquisiti. Si tratta di un’opinione che arriva al 51,5% tra chi ha al massimo la licenza media, è del 37,8% delle donne e del 36,6% tra gli over 64 anni.

C’è anche un altro rapporto sull’informazione: si tratta del Digital News Report del Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford.

Il rapporto elenca per prima cosa 5 trend negativi o preoccupanti per i media che emergono da sondaggi e studi: anche qui viene fuori come la connessione tra cittadini e giornalismo si stia indebolendo, l’attenzione mediatica si concentri sempre più verso le piattaforme, la fiducia nei media tradizionali sia in calo, influencer e celebrità suscitino più interesse anche sul terreno dell’informazione, mentre cresce il numero di utenti che preferiscono evitare del tutto le news.

Eppure dal rapporto emergono anche 5 ragioni per rimanere ottimisti sul giornalismo serio e di qualità. Per esempio sempre più persone si domandano con preoccupazione se le notizie che leggono sono autentiche o fake news. Molti bloccano siti o profili controversi e poco credibili. Tanti dicono di volere “qualcosa di meglio” dalle news, cioè contenuti affidabili e un ampio raggio di opinioni/punti di vista.

Se da un lato cresce il numero di coloro che evitano le news considerandole inutili o esageratamente allarmanti, aumenta anche l’interesse per i media che forniscono notizie positive e utili a trovare soluzioni a problemi concreti.

Alcuni media di qualità continuano a riscuotere la fiducia della gente, anche in un contesto generale di crescente sfiducia nell’informazione. Un esempio è la Bbc in Gran Bretagna, ma anche testate come El Espectador in Colombia e The Hundu in India in paesi caratterizzati da aspri conflitti politici e sociali.

Nonostante l’aumento del costo della vita, la percentuale di utenti disposti a pagare un abbonamento per le news online rimane stabile (mediamente al 17 per cento). E infine nonostante le piattaforme (come i social media) siano sempre più dominanti come luogo in cui la gente va a cercare le news, un certo numero di media di qualità, seri e responsabili, continua ad avere un pubblico: il rapporto cita esempi in particolare nei paesi scandinavi e nel Regno Unito.

In conclusione, indica il rapporto, la strada per mantenere vivo il giornalismo al tempo della rivoluzione digitale e dei social e pure della crisi economica esiste: qualità, affidabilità, imparzialità.

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