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Che fine ha fatto il diritto a innovare

Una decina di anni fa, quando Facebook aveva appena superato il  primo mezzo miliardo di utenti, si narra che due dipendenti si installarono in un magazzino ancora non utilizzato, e lo battezzarono “Analog Research Lab”. Per un po’ lo usarono per realizzare dei poster con gli slogan con cui Mark Zuckerberg stava conquistando il mondo. Cose tipo: “Stai concentrato e continua a vendere”; oppure “Cosa faresti se non avessi paura?”; e ancora “L’unica cosa che conta è la prossima cosa che farai”. Ma lo slogan che davvero catturava lo spirito del tempo era “Move fast and break things”; ovvero “muoviti in fretta e rompi le cose”. A Mark Zuckerberg dovette piacere perché quando andava sul palco aggiungeva: “Se non stai rompendo qualcosa, vuol dire che non ti stai muovendo abbastanza in fretta”. C’era una notevole arroganza in questo atteggiamento, ma va detto che anche leader più compassati si sono riempiti la bocca del concetto di “innovazione senza permesso”.

Quello slogan del 2010, ormai rottamato, fotografa la tensione che ci crea ogni volta che una startup prova a cambiare le cose: prova a innovare. Questo comporta un cambiamento di abitudini e prima ancora un cambiamento di regole che in Italia è molto complicato, ragion per cui ogni volta che qualcuno propone un prodotto o un servizio che cambiano radicalmente un mercato viene impallinato da norme pensate quando il digitale non esisteva. Per risolvere questo impasse dal 2017 si parla del diritto ad innovare: il precedente ministro della trasformazione digitale ne fece una bandiera ottenendo che dal luglio scorso divenisse una legge.

Stabilisce che se hai un prodotto o un servizio innovativi per un anno puoi chiedere di derogare alle norme vigenti. Dal punto di vista culturale è un bel salto in avanti, ma finora non risulta che qualcuno lo abbia fatto. Delle due l’una: o gli innovatori visionari sono spariti, oppure quella norma, che oggi vive nascosta in una voce di un sito web ministeriale, è ignota ai più. Andrebbe valorizzata. Il diritto a innovare può liberare energie sopite. Come diceva un altro celebre manifesto della Silicon Valley: “Solo quelli che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, sono quelli che lo cambiano”. Diciamo loro di provarci.



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