Chi sarà il ministro che riscriverà la Transizione ecologica immaginata da FdI

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Quale Transizione ecologica esce dalle urne? E chi potrete essere il prossimo titolare del Mite? Tra i tanti interrogativi del giorno dopo il voto che porterà Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, ci sono anche quelli che riguardano l’ambiente e l’emergenza climatica.

La posizione di Fratelli d’Italia era emersa chiaramente nelle risposte alle 16 domande che Green&Blue aveva rivolto alle principali coalizioni durante la campagna elettorale, e che oggi, con FdI primo partito con oltre il 26% dei consensi, riproponiamo. La leader Meloni aveva preferito che a rispondere fosse Nicola Procaccini, eurodeputato e responsabile Ambiente di Fratelli d’Italia.

Elezioni 2022

Elezioni 2022, le 16 proposte di Fratelli d’Italia per la transizione ecologica

Le priorità, secondo Procaccini, sono l’aggiornamento del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, fermo al palo da troppo tempo, l’incremento nel breve periodo l’estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali, per rendersi meno dipendenti dall’importazione di gas dall’estero, più in generale l’indipendenza energetica nazionale, “che si realizza attraverso le fonti rinnovabili, ma nel breve periodo anche attraverso le fonti fossili“.

Per questo, secondo FdI “va affrontata con maggiore lucidità la questione dei target europei sulle emissioni di CO2. Coltivare con un certo fanatismo l’obiettivo di azzerarle in tempi troppo rapidi, disinteressandosi degli aspetti geopolitici o dell’evoluzione delle tecnologie, può avere conseguenze catastrofiche sul piano sociale ed economico”. Come dire, secondo Fratelli d’Italia: inutile che il nostro Paese faccia sacrifici per abbattere le sue “poche” emissioni se poi i grandi inquinatori, tipo la Cina, non fanno altrettanto.

C’è poi il capitolo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza:

“Pensiamo che il Pnrr debba essere rivisto, perché pensato in tempi geopolitici molto diversi dagli attuali. E riteniamo che vadano evitate certe derive ideologiche, piuttosto frequenti a Bruxelles, in modo da proteggere i settori produttivi più esposti nei confronti di una transizione energetica miope e frettolosa”.

E allora la domanda diventa: chi sarà la ministra o il ministro che tradurranno in realtà il programma ambientale del primo partito italiano? Roberto Cingolani, ministro uscente della Transizione ecologia, nelle ultime settimane è stato spesso evocato come futuro componente di un governo a guida Meloni. Cingolani ha sempre smentito pubblicamente di voler proseguire la sua esperienza di ministro. E lo ha fatto anche privatamente, con i suoi collaboratori più stretti e con alcuni colleghi di governo, confidando che non vede l’ora di tornare a fare lo scienziato-manager. Per la sua permanenza al Mite, si era invece speso ripetutamente, durante la campagna elettorale, il leader della Lega Matteo Salvini. Giorgia Meloni ha espresso solo una volta pubblico apprezzamento per l’ex direttore dell’Istituto italiano di tecnologia, ma ha spesso precisato che il suo governo non sarà una prosecuzione di quello Draghi: dunque nessuno degli attuali ministri dovrebbe far parte della compagine guidata dalla prima donna premier. Eppure ci sarebbe stata una telefonata tra Meloni e Cingolani in cui la leader di FdI avrebbe effettivamente sondato il ministro sulla disponibilità a rimanere al suo posto. Anche in quella occasione Cingolani avrebbe confermato di voler tornare al suo lavoro di scienziato. A maggior ragione, viene da pensare, se ci fosse da rimetter mano al Pnrr, che invece lui considera la sua “missione compiuta”.

Aldilà delle questioni di principio (“nessuna continuità con il governo Draghi”) la casella del Mite è tra quelle che preoccupano di più la Meloni. Insieme alla legge di bilancio da approvare in tutta fretta, la questione energetica, con i rischi di un inverno al freddo e bollette alle stelle per milioni di italiani, rappresenta infatti il nodo principale e più urgente per il nuovo governo. Da qui la tentazione di lasciare al suo posto Cingolani, che si è occupato per un anno e mezzo di questi dossier.

C’è chi però, ed è il caso di alcune associazioni ambientaliste, auspica un politico al Mite: vista la delicatezza delle scelte da fare, che hanno ripercussioni sull’economia, sulla politica estera e sull’ambiente, occorre, appunto, una assunzione di responsabilità politica. E all’interno di Fratelli d’Italia chi si è esposto di più sui temi ambientali ed energetici sono stati Fabio Rampelli e Guido Crosetto. Il primo più ideologico (una lunga militanza nella destra, dal Fronte della Gioventù al Movimento Sociale Italiano), il secondo più pragmatico, per le sue frequentazioni con il mondo delle imprese.

Alla poltrona di ministro per la Transizione ecologica potrebbero anche ambire esponenti della Lega, come per esempio l’attuale sottosegretaria al Mite Vannia Gava. Ma con l’8,9% incassato nelle urne, è difficile che Via Bellerio possa imporre un suo nome per un dicastero cruciale, anche dal punto di vista del portafoglio: il ministero della Transizione ecologica ha il capitolo di spesa più alto all’interno del Pnrr, con 68 miliardi di euro. A ruota segue il ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, con 50 miliardi, a cui ambiva, prima del tracollo del Carroccio, il deputato leghista Edoardo Rixi.

Con il triplo dei voti, Fratelli d’Italia ha insomma miliardi di buoni motivi per tenersi i due dicasteri fondamentali per la transizione del Paese verso un futuro a emissioni zero.

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