Chiara Muti: “Dirigo l’opera che sognavo da bambina ascoltando papà”

Pubblicità
Pubblicità

A casa giocava con le bambole non come se fossero principi e principesse, ma tenori e soprani. Si creava, insomma, una sua propria regia, dato che a nove anni aveva visto alla Scala “Le Nozze di Figaro” di Mozart con la regia di Strehler e a dieci, a Salisburgo, “Così fan tutte” di Mozart con la regia di Hampe: sul podio c’era suo padre, Riccardo Muti. Oggi Chiara Muti fa la regista ed è sua la regia del “Così fan tutte” che si sta provando in questi giorni al Regio e che, con la direzione di Riccardo Muti, si potrà vedere in streaming gratuito sul sito del Regio dall’11 marzo.
“Sono rimasta folgorata da quel “Così fan tutte” di Salisburgo, era al Kleines Festspielhaus e io dai ballatoi gridavo “Bravi!”. Ero posseduta dal morbo mozartiano. Mio padre mi regalò le cassette dell’opera, con il libretto e una dedica: “A Chiara, che a dieci anni conosce già così bene questo capolavoro mozartiano”.
Conservo ancora cassette e libretto e quando li rivedo provo sempre una grande tenerezza”, racconta Chiara Muti in una pausa delle prove.

Già allora voleva fare la regista?
“A casa creavo il mio teatrino mettendo in scena il mio “Così fan tutte”, poi sono arrivati gli studi come attrice alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, la passione per il costume e il teatro, e il debutto nella regia, si vede che era nel mio destino”.

Qual è la cosa più importante che le ha insegnato Strehler?

“Il teatro come valore morale. Non siamo un passatempo, non siamo superflui come vorrebbe qualcuno in questo periodo di pandemia. È una scelta politica quella di tenere chiusi musei e teatri, potremmo essere benissimo aperti in sicurezza. Oggi il mio maestro Strehler tuonerebbe contro tutto questo, ha tuonato anche mio padre ma è rimasto inascoltato. Non c’è la priorità della cultura. Dobbiamo mangiare, non finire in ospedale e dormire: siamo come polli in un pollaio, ci danno l’ora d’aria per sgranchirci le gambe e fare shopping. Alcune settimane fa, davanti al Museo Egizio che era chiuso, ho sentito un bambino che domandava alla mamma: “Perché la Rinascente è aperta e il museo è chiuso?”. Ci rendiamo conto di quello che sta succedendo? Non capisco, non è accettabile. E così abbiamo lo streaming”.

Una scena da “Così fan tutte” 

Strehler definiva “Così fan tutte” un’opera erotica, lei la definisce metafisica.
“Il mio maestro era un uomo, io, da donna, ho una visione più aerea. Certo che è un’opera erotica, ma quello che mi colpisce di più è l’abbandono della purezza, la scoperta che quell’ideale di amore assoluto, pieno, eterno, che si ha a quindici anni, in piena adolescenza, in realtà non esiste. I personaggi dell’opera hanno quindici anni, hanno l’idea del primo amore che non si scorda mai, sono per le passioni estreme e invece Don Alfonso, più anziano, da filosofo illuminista quale è, dimostra a loro in maniera estrema cos’è la vita, cos’è l’infedeltà. Nasce tutto da una scommessa, come un gioco, ma da quel gioco vengono segnati per sempre, diventano adulti e impareranno a vivere con le loro imperfezioni”.

È un’opera buffa ma quando soffrono soffrono davvero.
“Sì, in quest’opera ci sono stralci di verità che da opera buffa la trasformano in tragica, dietro lo scherzo si nasconde la vera tragedia umana. In scena bisogna trovare il giusto equilibrio tra verità e finzione, è quello che ci richiede il teatro”.

Ma come finisce l’opera? C’è un lieto fine? Le coppie scoppiate si ricompongono o no?
“Finisce nella confusione, con gli uomini da una parte e le donne dall’altra. Dicono “ridiamo”, ma quel ridere sembra un morso, non una risata. Nel loro futuro le liti saranno assicurate e dall’armonia nascerà una baraonda, una disarmonia. L’universo femminile l’ho messo in scena come in una stanza dell’infanzia, perché l’immagine femminile viene sempre pilotata alla ricerca di un principe azzurro e così sparsi nell’opera ci sono riferimenti alle fiabe che si raccontano alle bambine, da Cappuccetto Rosso alla Principessa sul pisello, da Cenerentola a Biancaneve. Fiordiligi e Dorabella naufragano nella realtà, chiedono perdono a due uomini che hanno fatto una scommessa”.

Riccardo Muti 

Com’è lavorare con suo padre?
“Un grande privilegio. Da lui ho imparato tutto: l’amore per l’opera, per il libretto. Quanta corrispondenza ci sia tra musica e testo, quanto compositori come Verdi e Puccini abbiano lavorato per arrivare ai giusti termini, alla giusta corrispondenza. La mia regia non è mai contro la musica, altrimenti si spezza qualcosa, bisogna essere in armonia. Io penso che il regista debba lavorare per mettere in evidenza il sottotesto, dare valore a ciò che il musicista voleva dire”.

Ma non litigate mai?
“Io espongo le mie opinioni e cerco di convincerlo, lui espone le sue e cerca di convincere me, come avviene in dialogo paritetico tra direttore e regista. Poi è la scena che ci dice fin dove possiamo venirci incontro. Deve esserci un intento comune, non siamo l’uno contro l’altro”.

Le è piaciuto lavorare a Torino?
“La città è bellissima, piena di librerie e negozi di dischi! E al Regio ci sono persone meravigliose”.
 

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *