Claudio Baglioni compie 70 anni, una vita nel cuore della musica

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Claudio Baglioni compie 70 anni. Oggi le sue imprese musicali hanno preso dimensioni più grandi, tiene i concerti negli stadi pieni con il palco centrale, organizza spettacoli multimediali come l’ultimo, pensato intorno al suo nuovo album In questa storia che è la mia e trasmesso in streaming dal Teatro dell’Opera a marzo con un cast di 188 persone (76 musicisti, 69 coristi cantanti, 43 tra ballerini e performer) per uno spettacolo nel foyer, nei corridoi, nei camerini oltre che sul palco dello stabile romano. Per non contare poi la direzione artistica del Festival di Sanremo che per due anni consecutivi, nel 2018 e nel 2019, ha portato il cantautore romano al livello di “dittatore artistico”, come si è autoironicamente definito. Un contributo fondamentale, il suo, per iniziare la rivoluzione all’Ariston che ha portato in gara tra i Big musica nuova, con un gruppo di esordienti notevoli come Achille Lauro, Boomdabash, Einar, Ex-Otago, Federica Carta e Shade, Ghemon,  Motta, The Zen Circus, Irama, Ultimo e Mahmood, che avrebbe poi vinto.

Al netto della proliferazione e del gigantismo forse inevitabili, Baglioni resta però un cantore popolare dell’amore e della vita proprio come faceva agli esordi della sua carriera, quando era il cantautore della maglietta fina tanto stretta al punto che immaginavo tutto, della Camilla, yes my car, qui mi si sbraca, delle domeniche mattina passate al mercato di Porta Portese, degli amori finiti come in Tu come stai e delle mille proiezioni di padre raccontate con Avrai. Quella dimensione elegantemente pop che riesce a mettere in connessione diretta la canzone d’autore e la tradizione del melodramma. Baglioni fa parte insomma di quella stagione vitale della canzone italiana condivisa con amici e colleghi importanti come Lucio Battisti o come Francesco De Gregori e Lucio Dalla, solo apparentemente distanti da lui.

Claudio Baglioni, il 2 giugno in scena dall’Opera di Roma

“Ho commesso parecchi errori pur di assomigliare a ciò che non ero” ha confessato il cantautore romano. “Conservo ancora un rapporto doloroso con le parole, mi hanno sempre fatto dannare”. Ma per quanto riguarda la scrittura dei testi non si è mai perso d’animo: “Negli anni Ottanta, per scrivere Strada facendo mi preparai con i testi della Beat Generation. Prima di allora avevo vissuto una fase di innamoramento per Pasolini. Ero attratto dal post neorealismo, dai racconti delle periferie”. Fino a Garcia Lorca, omaggiato in uno dei suoi pezzi più ispirati, Fotografie del 1981. “Il testo perfetto esiste: penso a La cura oppure a Povera patria di Battiato. E poi c’è l’intera opera di De Gregori a confermarlo. Negli anni 70, dopo una baruffa iniziale, di Francesco sono diventato amico. Ho sempre invidiato la sua capacità di scrivere, glielo ho ripetuto spesso».

Negli ultimi anni, per un lungo periodo Baglioni aveva smesso di pensare alle canzoni. Ma a sette anni dal disco precedente, sempre affascinato dall’idea del concept come ai tempi di Questo piccolo grande amore, il cantautore ha ripreso il filo del racconto attraverso le canzoni del nuovo disco. “Cerco sempre l’emozione come i filosofi cercano l’uomo, come il cercatore va a caccia d’oro. È questione di sopravvivenza, o cerchi o smetti. Però, se negli ultimi vent’anni ho spesso fatto le prove del gran finale, da quattro o cinque anni non penso più a chiudere ma a vivere questa meravigliosa vicenda artistica e umana”. E per spiegare la sua passione per i concept e per l’aspetto più teatrale della sua musica, Baglioni ha aggiunto: “Certi vizi non muoiono mai, quell’eredità me la sono portata dietro sempre, a volte con fortuna altre meno. Non so esattamente da dove nasca, è stato così dall’inizio, quando suonicchiavo e non avevo ancora un mestiere con il mio gruppo a Centocelle, ci chiamavamo Studio 10, giravamo per i “pidocchietti”, i piccoli teatri parrocchiali, e facevamo spettacoli con contenuti misti, canzoni alternate a un brano di Tagore o a una danza ispirata da qualche coreografo alternativo”.

Claudio Baglioni: “Un nuovo album per lasciare un segno”

Le radici rispuntano sempre a proposito quando c’è bisogno di trovare conferme per la validità di un percorso. Accade anche nel caso di una carriera fortunata durata più di 50 anni: “Faccio un mestiere che non avrei mai pensato di fare, forse avrei cercato qualcosa di simile dove vivevo, nel quartiere di Centocelle che non era la periferia difficile di oggi ma era comunque periferia, venuto su da una famiglia che non aveva tutti questi mezzi, è come se avessi vinto il gran premio della lotteria e poi ho passato il resto della vita cercando di meritarlo, questo biglietto. Sono cresciuto come figlio unico, abituato da solo, mia madre faceva la sarta, era molto prudente essendo io il suo “claudiuccio”, mi spaccavano sempre gli occhiali, non per bullismo ma capitava. Da questa abitudine a stare solo nasce la capacità di fotografare alcuni dettagli”.

Sessanta milioni di album venduti, in pista dal 1968, autore di brani memorabili come Questo piccolo grande amore e Amore bello, Io me ne andrei e Poster, di E tu come stai? e di Mille giorni di te e di me, Baglioni si è raccontato in modo preciso e cronologico anche nei suoi concerti. Nel tour Al centro, con il palco posizionato al centro dello stadio o dei palasport, suonava una quarantina di pezzi in oltre tre ore e mezza di concerto: “Nessuno al mondo ha mai messo in scena un racconto cronologico della propria carriera”, spiegava con una punta di orgoglio, “e il palco al centro è stato immaginato dal musicista ma realizzato dall’architetto”.

Non è stato sempre tutto semplice. Il primo provino a Milano, negli studi della Ricordi, fu un disastro: Baglioni ancora minorenne, il maglione a collo alto e gli occhiali con la montatura pesante, suonò alcune sue canzoni ma venne scartato. Qualche mese dopo sarebbe andata meglio con il provino alla Rca di Roma. “I miei genitori mi hanno sempre sostenuto. Mia madre ripeteva: ti conviene cantare, così non ti rovini gli occhi sui libri. Poi gli occhi me li sono rovinati lo stesso. Però ai concorsi canori che si tenevano su ai Castelli arrivavano i parenti dell’Umbria con la corriera per farmi la claque. I miei avevano investito perché ce la facessi: una volta un tipo fece capire a mio padre che si dovevano tirar fuori 80mila lire se volevo incidere un disco. Quella cifra era un terzo del suo stipendio, eppure mio padre fu tentato, ci pensò. Per dire quanto a casa ci tenessero. Del resto, ci pensò pure quando dovette fare le cambiali per comprarmi il primo pianoforte».

Proprio su quel periodo si concentra l’omaggio di Raiplay a Claudio Baglioni in onda dal 14 maggio per i suoi 70 anni. Un affresco a tutto tondo tra vita e musica grazie alla trasmissione del 1974 intitolata Ritratto di un giovane qualsiasi. Uno speciale in bianco e nero in cui un giovanissimo Baglioni racconta i suoi esordi eseguendo alcuni dei suoi primi successi ed intervengono colleghi-amici come Lucio Battisti, Francesco Guccini e Bruno Lauzi. Per tutti Baglioni è diventato il cantautore dei sentimenti, un artista con il gusto dei primati, il primo a cantare sui camion, da un balcone, nell’hangar di un aeroporto, il primo nel ’96 a posizionare il palco al centro degli stadi e delle arene, circondato dal pubblico. Il 2 giugno la prossima sfida quando porterà il concerto multidisciplinare dell’ultimo album In questa storia che è la mia in diretta streaming dal Teatro Olimpico di Roma sulla piattaforma ITsART.

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