Colloquio di lavoro con stipendio al buio: perché in Italia solo un’azienda su dieci indica il salario negli annunci?

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MILANO – Provare a conquistare un posto di lavoro, avendo chiara idea di quel che si andrà a guadagnare. In tempi di inflazione galoppante e bilanci familiari sotto stress non è cosa da poco. Ma, se negli Stati Uniti sta via via prendendo piede – anche a forza di legge – questo grado di trasparenza ancora in Italia non si vede. Un fattore tecnico: noi abbiamo i contratti nazionali che già danno una griglia di riferimento. E culturale: due amici fraterni, da noi, condividono molti dettagli intimi ma faticano a scoprire le carte sul proprio cedolino. Ma anche tattico, da parte delle aziende. In un Paese dall’alta disoccupazione, dove – al netto di alcuni settori in cui la rarità del talento la fa da padrone – il coltello dalla parte del manico ce l’ha chi assume, ogni strategemma è buono per ridurre il costo del lavoro.

Negli Stati Uniti: la paga in tutti gli annunci

Colossi come Alphabet, Ibm o Wells Fargo, ha recentemente raccontato la Bloomberg, hanno deciso di pubblicare l’indicazione salariale in tutti i loro annunci di lavoro per gli Usa, non solo dove la legge lo richiede: nella città di New York, ad esempio, dall’inizio del mese. E in Colorado. Non tutti si sono adeguati all’innovazione della Grande Mela: alcune realtà hanno addirittura spento i loro annunci dedicati. Ma il movimento è partito: Microsoft lo farà dal prossimo anno, Citi già dichiara dei range stipendiali.

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In Italia: solo uno su dieci

In Italia, la situazione è ancora molto varia. Se avviamo una ricerca di lavoro su LinkedIn, troviamo descrizioni approfondite di quel che ci è richiesto e andremo a fare. Ma di soldi neanche l’ombra. Su Indeed, nel secondo trimestre 2022 solo il 10% dei post italiani aveva una indicazione salariale. Livello in linea con la Germania (10%) e la Spagna (13%), mentre Francia, Irlanda e Olanda salgono a uno su tre. Nel Regno Unito si sale a uno su due. Questo gap “non si può ricondurre a una sola ragione. In Italia il tema dei salari è molto delicato, sia per le imprese che per i lavoratori”, commenta l’economista di Indeed, Pawel Adrjan, fresco di un summit a Milano “dove ho toccato con mano questo problema: le aziende tendono a non esser trasparenti, né all’esterno né al loro interno”. C’è una ragione culturale ma anche un tentativo di “tirare il prezzo”. Il potere “è sbilanciato nelle mani delle imprese, visto l’alto livello di disoccupazione del Paese. Così alcune preferiscono mantenere nascosta la carta dei salari negli iter di assunzione, pensando così di riuscire a tenerli più bassi. Tuttavia, spesso si tratta di una falsa equivalenza che allunga il processo di assunzione”. Così il mercato ne perde in termini “di equità e anche di efficienza: se non sai di preciso quanto andrai a guadagnare, ti candiderai per una serie di lavori col rischio di esser deluso dalla paga rispetto alle tue aspettative. Oppure scoprirai di non esser abbastanza qualificato per una posizione che offre più di quelle che sono le tue reali ambizioni”. Insomma, un cortocircuito per gli stessi cacciatori di teste.

Numeri leggermente migliori, ma in ogni caso piuttosto bassi, dall’Osservatorio InfoJobs: “Considerando il periodo gennaio-ottobre 2022, solo il 30% delle offerte di lavoro in piattaforma contiene l’indicazione dello stipendio visibile contro il 70% dove l’indicazione manca”, spiega Filippo Saini.

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Poca trasparenza

Carlo Majer, co-managing partner dello studio legale Littler Italia, inquadra la questione ricordando alcune differenze strutturali tra noi e gli States. “Innanzitutto non ci sono per le nostre aziende obblighi in tal senso. Mentre negli Usa c’è una forte pressione per la trasparenza, legata soprattutto alla rimozione dei divari salariali per genere o orientamento sessuale. La sensibilità è molto alta: sulla pay gap vediamo partire controversie legali milionarie”. C’è poi un fattore tecnico: mentre da noi c’è l’istituto dei minimi contrattuali previsti dai Ccnl a livello nazionale, che sono una griglia di riferimento soprattutto per gli inquadramenti inferiori, negli Usa la forbice di denari offerti per una stessa mansione è molto più ampia. Senza dimenticare che “sul mercato americano, altamente mobile e con problemi di riempimento dei posti vacanti, è più frequente che sia il candidato a scegliersi il datore che non viceversa: sapere quanto guadagnerà è imprescindibile”, aggiunge Majer.

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Tenersi le mani libere

Altra differenza alla base del nostro ritardo, la struttura aziendale. “Che grossi colossi indichino precisamente i pacchetti retributivi offerti non stupisce, per il livello di sofisticazione col quale gestiscono questi aspetti”, ragiona Pia Sgualdino, Head of Randstad Professionals, la divisione specializzata in ricerca e selezione di middle e senior management. “Nella nostra tipica Pmi prevale l’approccio di maggior confidenzialità circa queste informazioni. Poi, sicuramente, ci sono casi virtuosi, specialmente in settori come il tech dove c’è un maggior grado di evoluzione delle strutture aziendali”. Più spesso però ci si trincera dietro locuzioni come “retribuzione commisurata all’esperienza del candidato” con l’aggiunta che “sono previsti bonus o benefit”, ricorda Sgualdino. Un “tenersi libere le mani” da parte di chi assume per arrivare a valutare personalmente i candidati e decidere, solo dopo il vis-a-vis, se vale la pena forzare un poco i budget per assicurarsi quella risorsa. D’altra parte, le aziende americane possono arrivare a conoscere molte più cose dei potenziali dipendenti di quanto non possano le nostre (anche chiamare gli ex datori e farsi dire quanto guadagnava una persona).

Le aziende più aperte

La diffusione di informazioni precise sta però diventando anche un fattore di successo per l’azienda trasparente. “Se chi assume non ha ostacoli a dichiarare il livello retributivo, si pone sul mercato come organizzazione aperta e trasparente: proprio quel che oggi cercano molti candidati”, dice Sgualdino. “Trasmette l’idea che i suoi livelli retributivi sono giusti, anche verso l’interno e chi fa già parte dello staff”. Gli esperti concordano nel ritenere che sarà difficile sfuggire a questo trend, per quanto obblighi di legge ad hoc potrebbero essere una forzatura: sarà il mercato ad adeguarsi. Anche perché sempre più gli annunci corrono online e si tratta di guadagnare visibilità nella caccia al giusto profilo: “Nei casi in cui lo stipendio risulta visibile la media delle candidature alle offerte aumenta del 20% ed inoltre le visualizzazioni all’offerta stessa aumentano del +11%”, calcola Saini. “Dati che ci permettono di affermare l’importanza dell’informazione: più elementi le aziende riescono a fornire all’interno dei loro annunci, più otterranno candidature interessate e mirate alla loro ricerca.”

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