Come cesoie spuntate: la lunga strada delle leggi anti sfruttamento

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Una lavagna bianca, di quelle che nei telefilm polizieschi si utilizzano per segnare le varie tappe di un’indagine per omicidio, al centro di questa due soli indiziati: Caporalato, Pratiche commerciali sleali. Ovvero due macro sintesi che raccolgono sotto il loro ombrello poco lusinghiero varie fattispecie di reato che interessano, ogni giorno e ogni anno, da anni, il settore principale della nostra economia. L’agroalimentare. Perché sotto la parola Caporalato spesso facciamo raccogliere tutte le pratiche di sfruttamento del lavoro, anche se non realizzate concretamente dall’organizzazione ( “purtroppo efficace nei fatti” commenta ironicamente Chiara Faenza di Coop) dei caporali; così come sotto la slealtà commerciale il posto della regina lo assolve l’Asta al doppio ribasso, ma non è decisamente l’unica protagonista. Un piccolo grande cancro che fa sì ogni giorno che chi lavora onestamente venga ricoperto da un fango che non gli appartiene e che chi si siede a tavola non riesce mai a essere del tutto sicuro – a meno che non ponga particolare attenzione nelle sue scelte e nei suoi acquisti – che ciò che addenta sia sostenibile e salubre, per sé e per il pianeta. Ogni anno, ogni estate, con il caldo arrivano nuove notizie di cronaca che non vorremmo leggere, nuovi morti, nuovi casi estremi. Eppure lontano dalle pagine di Nera qualcosa si muove, nei Palazzi. Purtroppo però, si muove lentamente.

Come le leggi, che tendono ad arenarsi. “Le aste al doppio ribasso sono state e sono, per chi le pratica, una modalità assolutamente non rispettosa dell’interazione commerciale”, spiega con estrema chiarezza Carlo Alberto Buttarelli, Direttore ufficio Studi e Rapporti con la filiera di Federdistribuzione. “Noi siamo stati promotori di un protocollo d’intesa con il Mipaaf per sottolineare la nostra volontà collaborazione e il volerci” mettere in prima linea non solo “nella lotta al caporalato, ma a tutte le pratiche sleali nel commercio agroalimentare”. Come quelle inserite nel disegno di legge 1373 discusso in Commissione al Senato il 17 marzo 2021 e ancora risultante da quel giorno, sul sito istituzionale, come “in stato di relazione”. Recante il titolo di “Disposizioni in materia di limitazioni alla vendita sottocosto dei prodotti agricoli e agroalimentari e di divieto delle aste a doppio ribasso per l’acquisto dei medesimi prodotti. Delega al Governo per la disciplina e il sostegno delle filiere etiche di produzione” è una legge che ha avuto un iter “lungo rispetto a quello che ci aspettavamo” come sottolinea Buttarelli. Ovvero, dopo due anni di stasi parlamentare (nonostante il sistema dei caporali e lo sfruttamento agricolo-economico siano state le due falangi dell’illegalità a trarre più vantaggio dalla crisi dell’ultimo anno) la situazione non cambia. Anzi.

Le aziende che soffrono di più sono quelle di dimensioni medio-piccole. Ovvero la maggior parte 

“Oggi l’orizzonte legislativo si è ulteriormente ampliato e l’approvazione di questa legge si inserisce all’interno dell’iter di recepimento della normativa europea 633, con focus sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti della filiera agricola e alimentare, che dovrà arrivare in porto entro il 1 novembre 2021″, dopo essere stata varata nel 2019. Federdistribuzione risulta al tavolo con i Ministeri competenti (Lavoro e Agricoltura) per la stesura del Decreto Legislativo inerente. “Una norma a cui si dovrebbe tenere molto, perché in primis è stata pensata”, in seno alle istituzioni europee, per tutelare gli attori più piccoli in quanto a grandezza aziendale e potenza economica. Piccole e medie aziende “che sono al di fuori della maglia protettiva di chi nella Gdo porta avanti buone pratiche, in quanto noi lavoriamo principalmente con grandi aziende o Consorzi”. Aziende quindi soggette a sfruttamento di vario tipo. Anche in riferimento all’industria di trasformazione “troppo spesso tenuta in ombra quando si parla di illegalità nel settore, nonostante molte pratiche sleali vengano poste in essere proprio in questo ambito”. 

“Il passaggio industriale è uno dei meno valutati quando si parla di illegalità in filiera”. (FotoCoop – La Buona terra) 

“Pur non potendo influenzare direttamente i casi che consideriamo più a rischio, ci siamo impegnati da tempo” nell’altra grande impresa istituzionale per quanto riguarda il contrasto alle pratiche illegali, ovvero la Rete del Lavoro Agricolo di Qualità, normativa nata con l’obiettivo di porre un argine al fenomeno del caporalato a cui aderiscono sia Coop che Federdistribuzione, come molti altri grandi gruppi del settore Gdo. E’, nei fatti, un elenco certificato di imprese agricole in regola con le disposizioni in materia di lavoro, legislazione sociale, imposte sui redditi e valore aggiunto, utile agli acquirenti in filiera (che siano essi trasformatori o distributori) per indirizzarsi verso la controparte più adatta alla propria filosofia lavorativa. 

“3 milioni di irregolari, per 79 miliardi di euro”: la maglia nera dell’agricoltura

Istituita con il DL 91/2014 e modificata con la Legge 199/2016, è però ancora lontana dal raggiungere il bacino di utenti necessario a creare un vero contrasto al fenomeno. Le aziende tardano a iscriversi, nonostante gli accordi con colossi della Gdo. Come sottolinea Chiara Faenza, Responsabile Sostenibilità Coop, “molte aziende hanno paura di essere eccessivamente controllate” e di avere difficoltà che nel quotidiano altrimenti non avrebbero mai incontrato. Paura più che legittima visto che, come sottolinea Buttarelli, “l’eccessiva burocratizzazione fa sì che vengano bloccate ai varchi anche aziende che hanno con l’erario statale contenziosi minimi, infinitesimali, magari dovuti a un’incomprensione o anche solo a una rateizzazione di un importo dovuto”. E invece di proporre valutazioni nel merito di quanto previsto dagli obiettivi della legge, la macchina si arena. E’ per questo che la Distribuzione Moderna, di concerto con il Mipaaf, ha proposto a inizio 2021 di accettare dai propri fornitori ( e a loro di fornirla) anche la certificazione secondo il modulo GRASP di GLOBALGAP. Una certificazione che prevede una procedura di iscrizione snella “e che, al contempo, vanta tutti i criteri per essere considerata adeguata agli obiettivi di tutela e rispetto delle buone pratiche sociali”. Requisiti che la rendono una valida alternativa all’iscrizione alla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità, in attesa che questa si sbrogli dalle maglie della burocrazia italiana, per scendere veramente in campo a fare la differenza. 

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