Come cucinare il perfetto bollito: numero di pezzi di carne, brodo, cottura

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Il bollito è il piatto antico che, insieme alla nebbia, accompagna le feste nella Pianura Padana declinandosi in modi diversi a seconda dell’area geografica e allo stesso tempo legandosi a usanze, aneddoti e storie popolari. È vero che i tagli di carne vanno dispari? L’acqua deve essere fredda o bollente? Gallina vecchia o giovane? C’è tutto un fiorire di pratiche e teorie che ruotano attorno a questa preparazione lunga e paziente, nata contadina e diventata aristocratica.

Si chiama bollito misto o gran bollito, alla piemontese, alla veronese o alla bolognese, in funzione dei tagli di carne ma anche del contorno vegetale che si accompagna e soprattutto delle salse nelle quali intingerlo.

Il gran bollito misto alla piemontese, per esempio, vanta appassionati illustri come re Vittorio Emanuele e protagonisti d’eccezione come il famoso bue grasso di Carrù e la sua storica fiera annuale (dove, in onore di antiche tradizioni e fiere di bovini, si servono bolliti caldi a partire dalle prime luci dell’alba) che ci aiutano a datare la ricetta di origini antichissime e collocarla in tavole blasonate. In realtà si tratta di un piatto contadino, ricco ma al tempo stesso nato dall’esigenza di recuperare (per non sprecare) diversi tagli di carne e accompagnarli a salse (anch’esse a loro volta nate come ricette di recupero) che ne rendano più originale e piacevole il sapore.

La fiera del bue grasso a Carrù (@Loris Salussolia)  Per il gran bollito alla piemontese si usano sette tagli di carne di bovino – cotti nella stessa pentola – e sette cosiddetti ornamenti (la testina di vitello completa di musetto, la lingua, lo zampino, la coda, la gallina, il cotechino e la rolata), cotti in pentole diverse. Sette sono anche le salse di accompagnamento tra cui la classica verde (con prezzemolo, acciughe, aglio e mollica di pane raffermo), una salsa rossa con pomodori e aceto rosso, il kren e una salsa più dolce a base di miele.

In Lombardia si usano meno tagli e solo quelli del bovino adulto, a cui si aggiungono testina e lingua di vitello, cotechino e gallina o cappone. In alcune località si usa bollire anche l’osso dello stomaco, un salamone speziato fatto di carni suine. Regione che vai, contorno che trovi e qui ci sono il purè, gli spinaci, la giardiniera e l’immancabile mostarda.

Una piccola digressione merita il servizio del bollito che tradizionalmente viene nel carrello – come si legge in molti ristoranti che espongono il cartello “carrello dei bolliti”, e come avviene nelle case abitate da famiglie numerose dove si usano vassoi e carrelli. C’è da dire che il bollito infatti è una ricetta che presuppone un discreto numero di commensali, e anche per questo oggigiorno viene preparata a livello domestico in occasione delle festività, quando la famiglia si riunisce attorno alla tavola.

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Proseguendo il nostro viaggio gastronomico del bollito, da Ovest a Est, in Emilia troviamo tagli di bovino adulto (lo scamone) a cui si aggiungono varie parti di carni suine come lo zampone. La tradizione contadina di questo piatto fa da cartina tornasole delle carni che si utilizzano: se in Piemonte si allevavano più bovini, in Lombardia e in Emilia erano i suini gli animali più allevati, e di conseguenza anche quelli più cucinati. In Veneto poi, e in particolare a Verona (anzi, solo e soltanto in città!) il bollito si accompagna con la pearà: una salsa povera ma gustosissima, nata come piatto di recupero, a base di pane grattuggiato, pepe, brodo, e midollo di bue.

Troviamo dunque il bollito in Piemonte, in Lombardia, in Veneto, in Emilia ma anche a Trieste dove si prepara bollendo diversi tagli di carne suina (salsicce, prosciutto, filetto con osso, e altri), serviti con crauti, senape e kren grattuggiato.

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Il bollito è una preparazione semplice, servono soprattutto pazienza, tempo e qualche consiglio d’autore: abbiamo chiesto indicazioni a Diego Rossi, chef veneto di origine, che ha lavorato in Piemonte (dove si è guadagnato una stella Michelin diventando lo stellato più giovane della storia della cucina italiana) e ora a Milano conduce la sua trattoria Trippa. E ci ha spiegato quattro regole fondamentali per un bollito a regola d’arte.

Prima regola: acquistare i tagli giusti

“Nel bollito io uso 12 pezzi diversi di carne – dice Diego Rossi – del manzo o bovino non mancano mai la guancia, il cappello del prete, lo stinco e la coda, perché sono parti che hanno più collagene. Poi la lingua. Del vitello la testina e la tettina della vitella (che deve aver figliato) e i nervetti; il cotechino di maiale e poi della gallina o del cappone metto le alette, il collo e le zampe. A casa mia si usano in alternativa anche pezzi di oca o anatra, sempre preferibilmente le ali o le cosce”.

Seconda regola: carni diverse hanno cotture diverse

L’aspetto fondamentale di questa preparazione, precisa lo chef, è la cottura della carne che va fatta in modi e tempi separati. Servono diverse pentole, diversi brodi e diversi tempi di cottura. “Occhio ai tempi di cottura, non bisogna dimenticarselo nella pentola!”.

Terza regola: usare le pentole!

Le pentole da usare sono almeno tre: una per il manzo e il pollame, una per tettina, nervetti e testina; e una a parte – senza brodo, ma solo acqua – per il cotechino.

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Quarta regola: il brodo deve essere buono, e non si butta

Il brodo bollente in cui vengono immersi i pezzi di carne Diego Rossi lo prepara con: sedano, carota, cipolla, uno spicchio di aglio, le gambe del prezzemolo e due aghetti di rosmarino (“Non di più, sennò si sente troppo”). Il brodo va salato al punto giusto e soprattutto non si butta – “Lingua e coda danno i brodi migliori”, come ricorda Rossi, il bollito nasce come piatto di recupero e quindi anche il brodo si deve usare (per esempio per amalgamare la pearà di Verona).

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