Comunali, Conte e Calenda: i due fenomeni in piazza sfidano la legge di Nenni

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La fine della campagna elettorale, tanto più in autunno, tanto più all’imbrunire, offre immagini esorbitanti e malinconiche. Esausti e anche un po’ rimbambiti dalle loro stesse parole ripetute all’estremo, i candidati salgono sui palchi come automi nell’ultimo sforzo.
Ancora una volta i comizi di chiusura trovano un senso nel gioco di rimbalzo con la tv e i social. Sia l’uno che l’altro medium sono fin troppo adatti, se non a mentire, almeno a far credere che giù, dietro le transenne, c’è tanta gente, c’è la folla, c’è fervore, c’è entusiasmo, ci sono le bandiere, la musica, gli applausi scroscianti.

Sennonché, al giorno d’oggi, la densità e il sentimento sono spesso il risultato di una percezione sensoriale ottenuta attraverso inquadrature, angolazioni, luci, sonoro; inoltre le moltitudini appaiono tali perché raccolte in luoghi o set – a Roma piazza del Pantheon, Santi Apostoli, Bocca della Verità – scelti proprio perché adatti a nascondere i vuoti a telespettatori, in verità sempre più distratti.

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E tuttavia, sembra che da una parte il contatto prolungato con il pubblico, il calore, gli sguardi, la concitazione, le strette di mano, le pacche, i selfie e dall’altra le foto sui giornali, i like, i retweet e i cuoricini, insomma pare che addirittura a livello neuro-cognitivo il frullatore finisca per convincere chi fa campagna elettorale dal vivo – e soprattutto chi l’affronta da potenziale rockstar – che tutto va a gonfie vele, e che potrebbe anche farcela.

Così, sulla strada della vittoria rimane solo un ultimo enigmatico ostacolo, retaggio dall’antica politica in forma di assioma vagamente iettatorio che scolpisce in lettere incandescenti: “Piazze piene, urne vuote”. Il combinato disposto, nella sua inesorabile sintesi, ha il potere di riportare, sia pure per un attimo, i sicuri vincenti con i piedi per terra, in preda al dubbio e all’angoscia, fino all’ultimo minuto.

Pietro Nenni, per mezzo secolo uomo simbolo del socialismo italiano, fu un celebrato comiziante, con ritmi di perfetto solfeggio vocale e argomentativo, ma anche un grande creatore di formule e motti – “o la Repubblica o il caos”, “la stanza dei bottoni” – destinati a entrare, più che nel lessico, nell’immaginario senza tempo della politica. Si è qui cercato dove e quando precisamente egli abbia pronunciato o scritto, quasi di sicuro con autobiografica amarezza, la fatidica sentenza sull’affollamento che non si traduce in voti. O almeno: la frase non è nei diari, né nella biografia di Giuseppe Tamburrano e nemmeno nell’intervista che sempre a quest’ultimo Nenni concesse per Laterza alla metà degli anni 70. Forse occorrerebbe più tempo per trovarne sicura traccia in altre fonti.

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Ma la vulgata gliel’attribuisce al cento per cento dopo la storica sconfitta del Fronte popolare (Pci e Psi sotto l’emblema di Garibaldi) alle elezioni del 18 aprile 1948. Quando i comizi del Fronte erano per l’appunto gremiti, ben oltre le speranze dei partiti di sinistra, ma nella cabina elettorale la coalizione ottenne un misero 30,9 per cento mentre la Dc arrivava a sfiorare la maggioranza assoluta (48,5).

A 73 anni e tre generazioni di distanza, tutto è mutato, a cominciare dall’affluenza, oggi molto, ma molto ridotta rispetto a quel tempo aspro e glorioso della democrazia. Ma senza minimamente gufare, come direbbero Renzi e il pensiero magico, tra quelli che maggiormente e sorprendentemente hanno riempito le piazze vanno compresi Carlo Calenda a Roma e Giuseppe Conte al Sud.

Il primo l’ha rivendicato in modo esplicito, una volta accolto sul palco sulle note di “Hard as a rock” e appena preso in mano il microfono: “Quando abbiamo dovuto scegliere, a un certo punto si è detto facciamo piazza Santi Apostoli, facciamo la Bocca della Verità, facciamo un evento simbolico… Eh, no, io gli ho detto: amici miei, no, noi riempiamo pia-zza del Po-po-lo!”. Che in effetti non solo appariva, ma era abbastanza fitta di potenziali elettori – come al solito, chi dice 5 mila chi il doppio – oltre che di bandiere azzurre. Alla fine, nella penombra, un appassionato, fotografato e subito pubblicato bacio con la signora Calenda – ma su questo Nenni c’entra poco.

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E comunque. Nel video anche l’occhietto dell’osservatore più smaliziato poteva riconoscere che l’ex ministro, se non riempie le piazze, certo ha attirato un certo pubblico. 155 quartieri visitati, 50 mila citofoni e porte cui hanno bussato gli attivisti calendiani, 400 incontri d’ascolto, 50 confronti pubblici. In che misura questo capitale di mobilitazione sarà utilizzabile alle elezioni nessuno può dirlo. Se Calenda arriva al ballottaggio sarà la più grande sorpresa; se invece prende il 10 o anche il 15 per cento il monito di Nenni avrà la sua conferma. La colonna sonora del filmato riepilogativo s’intitola in ogni caso: “Endless possibilities”.

Alle infinite opportunità di Calenda, sempre sul medesimo registro quasi teologico, l’ex premier Conte si è lasciato accompagnare dal brano “Above the clouds”, sopra le nuvole. Ma è pur vero che anche lui nei suoi giri ha sempre trovato gente, specie donne, che l’applaudivano e alcuni pure l’invocavano. Notato un cartello, tipo Mogol: “Vorrei stringerle la mano”. Sulla piazza di Cavallino, in Puglia, gli hanno portato caffè e brioches mentre parlava in piazza. A Cerignola s’è esibito in dialetto evocando nonno Augusto e nonna Felicetta: tripudio. A Scampia ha tirato un rigore di tacco (parato). Anche una buona affermazione di Conte, se le piazze non mentono, rientrerebbe nel novero delle meraviglie. Nell’attesa, s’accartocciano le foglie morte della campagna elettorale.

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