Con i Maneskin (e non solo) a Sanremo 2021 ha vinto la rivoluzione

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La rivoluzione è compiuta: i Maneskin, una band di giovanissimi, figli di una generazione nuova, con un brano rock, potente e sfacciato, hanno vinto il Festival di Sanremo. Fedez e Michielin al secondo posto, Ermal Meta chiude al terzo posto. E non basta: Willie Peyote vince il premio della Sala Stampa, Colapesce e Dimartino quello della Sala Radio e Tv, per il miglior testo ha vinto Madame, quello per la miglior composizione musicale a Ermal Meta.

Sanremo 2021, le pagelle della serata finale

Le giurie, sommate, avevano offerto un risultato misto, celebrando sia l’innovazione che la conservazione, mentre nel rush finale tutto è cambiato, premiando il cambiamento, cosa rarissima in una manifestazione come Sanremo. Ma mai come in questa edizione il risultato finale va molto oltre quello, già assolutamente rivoluzionario della vittoria dei Maneskin. Il Festival pur restando una gara ha preso sempre più l’aspetto di una rassegna, in cui conta la proposta e non la posizione in classifica e tutti, in realtà, hanno davvero vinto. Perché ha vinto la musica.

Madame (ansa)

E c’è una canzone che ha un testo che, da solo, spiega tutto il Festival, quello di “Musica leggerissima” di Colapesce Dimartino, quando dice: “Metti un po’ di musica leggera, nel silenzio assordante, per non cadere dentro al buco nero che sta a un passo da noi”. Pura verità, cantata facendo finta che tutto sia un gioco. Ma la musica popolare non è un gioco, il pop è parte integrante della nostra vita quotidiana, è nei nostri cuori, nelle nostre vene, come cantano Colapesce e Dimartino, è qualcosa che ci aiuta, quando soffriamo e quando siamo felici, quando abbiamo bisogno di pensare e quando abbiamo “voglia di niente”.

Colapesce Dimartino (agf)

Hanno ragione quando dicono: “Rimane in sottofondo dentro ai supermercati, la cantano i soldati, i figli alcolizzati, i preti progressisti, la senti nei quartieri assolati, che rimbomba leggera, si annida nei pensieri, in palestra, tiene in piedi una festa anche di merda, ripensi alla tua vita, alle cose che hai lasciato cadere nello spazio della tua indifferenza”. Tutto Sanremo 2021, nel pieno della pandemia, con le poltrone del teatro vuote, con la gente in casa, con l’orchestra con le mascherine, con un paese in ginocchio, è raccontato da questa canzone, apparentemente leggerissima ma pesante come un macigno, vera e tagliente, tra i lustrini, le gag, i balletti, i travestimenti.

Sanremo 2021, Amadeus saluta il Festival: “Non ci sarà un Ama ter”

Sanremo 2021 è stato dolce e amaro, ha cercato di consolare ma ci è coscientemente riuscito solo fin dove ha potuto, senza esagerare, senza coprire di lustrini la realtà, ha cercato di far dimenticare per qualche momento la realtà e allo stesso tempo ci ha costantemente ricordato che cosa sta accadendo. La vita è arrivata sul palco attraverso le canzoni: quella di Willie Peyote che inizia con la voce di Valerio Aprea in Boris: “Questa è l’Italia del futuro, un paese di musichette mentre fuori c’è la morte”. O in quella di Francesco Renga che parla della sua Brescia: “Guarda un po’ la mia città è insonne e ha smesso di sognare (…), questa volta ho come l’impressione che la speranza abbia cambiato umore”.

Willie Peyote (ansa)

Certo, non tutti i testi sono così, perché la “voglia di niente” è altrettanto importante e cantare d’amore è altrettanto importante. Ma anche portare l’amore in scena, senza finzioni, senza badare agli altri, come hanno fatto i Coma_Cose, che hanno cantato per loro stessi cantando per tutti quelli che si amano. Vi sembra poco tutto questo in un festival? Vi sembra che davvero sia soltanto “intrattenimento”? Lo è, non c’è dubbio, e meno male che lo è, se non ci intrattenesse sarebbe altro, non sarebbe arte. Ma non si limita a farci pensare o a intrattenere.

Prendete Madame e la sua intricata proposta musicale. O i Maneskin, giovanissimi e rock. O gli Extraliscio, che delirano liberamente e poeticamente, o Fasma che trasforma la trap in canzone, o Lo Stato Sociale che mescola gli Skiantos e la magia, Fulminacci e la sua chitarra acustica, Malika Ayane e la sua eleganza, la meravigliosa felicità di Ghemon, la passione inarrestabile di Aiello, il tormentone contaminato di Gaia, o l’emozione di Random, la forza di Ermal Meta, la voce di Arisa, la poesia sbilenca di Gio Evan, la vita stracciata di Bugo, la travolgente emozione de La Rappresentante di Lista, e ancora gli altri, tutti gli altri, Annalisa, Noemi, Irama, Michielin e Fedez, quelli che ci sono piaciuti, quelli che non ci sono piaciuti, come è normale che sia.

Francesca Michielin e Fedez (fotogramma)

Le canzoni sono importanti, lo sono sempre, lo sono ancora di più in questo momento, e Sanremo, sera dopo sera, lo ha dimostrato. E’ partito male il festival, sottovalutando le canzoni e mettendo tanto, troppo varietà, troppo spettacolo, poi per forza di cose, le canzoni hanno riconquistato lo spazio, il tempo, il cuore, e il pubblico. Canzoni in gran parte diverse dal mainstream, proposte da molti artisti che il grande pubblico non aveva nemmeno mai sentito nominare. Artisti contemporanei, veri, quelli che stanno rivoluzionando la musica italiana e hanno rivoluzionato Sanremo.

Il suono di una generazione nuova, che ha segnato uno strappo fortissimo con il passato, che ha occupato la scena, le classifiche, le piattaforme di streaming, sfuggendo alla grande industria, al modo della comunicazione ufficiale, crescendo nei nuovi media, nell’underground, segnando una profonda distanza dalle generazioni precedenti. Il Festival li ha portati all’attenzione di tutti, ha acceso la luce su una generazione in movimento, che sta cambiando le regole del gioco, in un momento in cui il Paese ha bisogno di energia nuova, di nuove speranze e, lasciatecelo dire, di nuove canzoni.

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