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Con la fibrillazione atriale l’alcol è da evitare

PER CHI soffre di fibrillazione atriale, l’aritmia più comune in particolare nella terza età, meglio evitare gli alcolici. O almeno ridurne al minimo l’assunzione. Questa semplice misura potrebbe aiutare a limitare il rischio futuro di andare incontro ad un ictus cerebrale (la presenza dell’aritmia aumenta anche fino a cinque volte questo pericolo rispetto alla popolazione generale) in rapporto a quanto si osserva nei soggetti che invece continuano a bere. A sostenerlo è una ricerca condotta in Corea, su una banca dati nazionale che ha coinvolto quasi 98.000 persone con fibrillazione atriale, di cui più di un terzo erano bevitori, pubblicata su European Heart Journal. Lo studio è stato condotto dai ricercatori dell’Università della Corea in collaborazione con quelli dell’ateneo di Liverpool. Durante i cinque anni di osservazione – stiamo parlando di soggetti che avevano avuto una diagnosi di fibrillazione atriale – sono stati osservati 3120 casi di ictus cerebrale. Astemi e non consumatori di alcolici sono risultati associati ad un minor rischio rispetto a chi beveva con una certa regolarità.

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Dimenticare gli alcolici

Ma quindi, alcol sì o alcol no, visto che ci sono studi che invece fanno pensare ad un’azione protettiva degli alcolici sui vasi? “Per quanto riguarda i disturbi del ritmo cardiaco, studi osservazionali hanno generalmente dimostrato che il consumo di alcool aumenta il rischio di fibrillazione atriale, scompenso cardiaco ed ictus emorragico – spiega Ciro Indolfi, presidente della società Italiana di Cardiologia. Un possibile meccanismo mediante il quale il consumo di alcool potrebbe aumentare il rischio di malattia cardiovascolare è l’aumento della pressione arteriosa. Infatti, numerosi studi hanno dimostrato che se i bevitori di più di 2 drink al giorno riducono progressivamente la quantità di alcool, si riduce in parallelo anche la pressione arteriosa.  Inoltre, nei forti bevitori si osserva un aumento del colesterolo, dei livelli di trigliceridi ed un possibile effetto negativo sulla contrazione del cuore. Al contrario, l’uso moderato di alcool (il classico bicchiere o mezzo bicchiere di vino al giorno), nei soggetti sani, riduce il colesterolo “cattivo” LDL e i livelli di fibrinogeno”.

I consigli

Ma allora, come bisogna comportarsi? Dallo studio coreano emerge che i bevitori anche con un moderata quantità di consumo di alcol hanno mostrato ancora un rischio significativamente più elevato di ictus ischemico e una relazione dose-risposta lineare tra la quantità di attuale assunzione di alcol e il rischio di ictus ischemico. “Nei pazienti nei quali era stata fatta la diagnosi di fibrillazione atriale, anche un modesto uso di alcool (meno di 105 grammi a settimana, un bicchiere di vino rosso contiene 12 grammi di alcol) aumenta il rischio di ictus – riprende Indolfi. C’è un altro dato importante: se i bevitori smettono di assumere alcool dopo la diagnosi di fibrillazione atriale il rischio di ictus ischemico si riduce. Possiamo quindi concludere che nei pazienti che hanno disturbi del ritmo cardiaco legati ad una fibrillazione atriale l’uso dell’alcool dovrebbe essere completamente bandito, perché anche un uso moderato (il classico bicchiere di vino rosso al giorno) potrebbe aumentare il rischio di ictus cerebrale”. Il consiglio finale, vista l’elevata diffusione di questa aritmia nella terza età ma non solo, è quindi semplice: se il cardiologo sollecita un intervento sullo stile di vita, cerchiamo di seguire le sue indicazioni. Avere sane abitudini, compresa l’attenzione al consumo di alcol, vuol dire affrontare al meglio la patologia.

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