Confindustria vede il recupero: “Pil sulla buona strada” per un rimbalzo del 4%. Lenta ripartenza anche per il lavoro

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MILANO – Dopo il grande crollo, la risalita. La Confindustria vede i segnali di ripresa dell’economia italiana abbattuta dal Covid, che nei giorni scorsi sono stati certificati anche dall’Istat che ha prima individuato il ritorno del fatturato delle aziende tricolori a livelli ante-pandemici e poi tracciato un consistente recupero della fiducia da parte di imprese e famiglie. “L’Italia inizia il lungo sentiero stretto di risalita: primi segnali positivi nei servizi, industria solida”: così il centro studi di viale dell’Astronomia intitola il rapporto mensile sulla Congiuntura flash.

Il Pil si è messo “sulla buona strada”, correlato inevitabilmente in questo maggio ai graduali allentamenti delle restrizioni e a un ritmo “significativo” delle vaccinazioni. Per gli imprenditori “ciò rende possibile nel secondo trimestre (quello che va da aprile a giugno, ndr) un primo, piccolo, aumento del Pil, cui seguirà un forte rimbalzo nel terzo e nel quarto pari a oltre il +4%, che si consoliderà grazie all’impatto che verrà dagli investimenti finanziati dal piano europeo” Next generation. Con lo sblocco delle semplificazioni e l’approvazione del quadro di finanziamento da tutti i Paesi membri, per l’Italia c’è la concreta prospettiva di incassare i primi 25 miliardi già a luglio.

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Nonostante la stagnazione di marzo, l’industria “è avanti” e nel secondo periodo dell’anno resta la previsione di “una variazione positiva” da parte del Csc: “Le attese di produzione sono in deciso aumento e le scorte in rapido decumulo; ciò indica una domanda oltre le previsioni e un necessario riaccumulo di stock, che sosterrà la produzione”. E “qualcosa si muove” anche nei servizi, comparto che ha maggiormente sofferto le misure di contenimento del virus. “L’aumento della domanda nei servizi, previsto accentuarsi poi nel trimestre estivo, è spiegato dalla ripresa dei viaggi e dei consumi fuori casa, oltre che dalle riaperture nei settori legati alla filiera del turismo e della cultura (musei, gallerie d’arte)”.

In attesa della ripresa dei licenziamenti, che secondo le ultime stime di Bankitalia si porta dietro un peso potenziale di 577 mila contratti da chiudere – tra quelli fisiologici impediti dal blocco e quelli legati alle ristrutturazioni delle aziende colpite negli affari dalla crisi – si vede “una lenta ripresa del mercato del lavoro in Italia. Tra gennaio e aprile sono state create circa 130mila posizioni di lavoro, al netto delle cessazioni, contro un dato molto negativo (-230mila) negli stessi mesi del 2020 (+260mila nel 2019)”.

Tra il buon andamento dei leasing – con auto e beni strumentali a registrare i numeri migliori – e il comparto dei beni immobili che “ha ripreso a crescere”, il Csc annota anche “dati positivi per gli investimenti“. Il contesto finanziario resta d’altra parte favorevole, con i tassi europei ancora bassi grazie alla presenza sul mercato della Bce che attenua l’effetto di crescita del costo del denaro visto negli Usa, dove d’altra parte la ripresa dell’inflazione e dell’economia in genere sono più avanti. Proprio per questo, il Csc invita a non temere spirali inflazionistiche anche in Italia, dove l’occupazione resta “compressa”, perché il paragone con l’America non regge.

Il rapporto è disseminato di altre spie positive: si parla infatti di un “export in salute”, ripartito a marzo tornando sui livelli pre-crisi, nell’ambito di “scambi mondiali robusti”, con il “risveglio dei servizi” che si vede anche nel resto dell’Europa e la “fiducia alta negli Usa”: gli States restano la stella polare per la ripresa mondiale, ancor più dopo l’annuncio del maxi-piano fiscale di Biden per il prossimo anno.

Non mancano elementi di tensione possibile. Oltre ai consumi delle famiglie italiane che rimangono “ancora lontani dai livelli pre-crisi” ma sono comunque “vicini alla svolta” grazie alle riaperture (il Csc stima che ci sia stato un eccesso di risparmio-forzato per i lockdown di 26 miliardi, pronti a trasformarsi in consumi), a livello macro sono i rincari delle materie prime a rappresentare il pericoloso granello di sabbia nel meccanismo della ripresa. “Il prezzo del Brent – annota il rapporto – si mantiene intorno a 68 dollari al barile a maggio, ai livelli pre-Covid, grazie al riequilibrio del mercato ormai raggiunto, con le scorte di greggio scese ai valori di inizio 2020. In aprile, invece, le altre commodity hanno mostrato nuovi forti rincari (grano +3,2%, rame +3,7%, ferro +6,9%). Per il rame, il picco storico del 2011 dista appena il 5,5%”.

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