Congo, la “guerra mondiale africana” che da 26 anni insanguina la regione

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Il lungo conflitto che funesta il Congo Orientale, dove stamattina è stato ucciso il nostro ambasciatore a Kinshasa, Luca Attanasio, assieme a Vittorio Iacovacci, il carabiniere che gli faceva da scorta, e al loro autista, è considerato dagli africani la loro guerra mondiale, per la quantità di eserciti che vi hanno combattuto e per l’alto numero di morti, che alcuni valutano intorno ai 5 milioni. Scatenata nel 1994, con l’esodo in quella regione della Repubblica Democratica del Congo di decine di migliaia di hutu dal Ruanda, alla fine del genocidio che in quel Paese causò quasi un milione di vittime, la guerra ha visto affrontarsi truppe congolesi, ugandesi, ruandesi, keniane e libiche, ognuna di esse spalleggiate o osteggiate da una decine di gruppi ribelli o paramilitari il cui obiettivo principale è il controllo delle immense risorse naturale dell’aerea.

Una delle caratteristiche del conflitto del Congo orientale è l’uso dei kadoga o bambini soldato perché in ogni villaggio attaccato, le milizie ribelli, dove aver ucciso gli uomini e stuprato le donne, rapiscono i più piccoli per trasformarli sia in schiavi sessuali sia in combattenti. Quattro anni fa, il premio Nobel per la Pace 2018 Denis Mukwege, che ha fondato nel 1998 il Panzi Hospital a Bukavu, dove cura le donne vittime di stupri seriali, ci raccontò l’effetto della guerra sui kadoga. Questi bambini ai quali vengono messi in mano fucili e pugnali, spesso per torturare i prigionieri, nell’assurda credenza che un bambino possa essere più crudele di un adulto, crescono nella violenza più assoluta. Ed è quella che compiono quando diventano adulti a loro volta. Il dottor Mukwege ci disse che gli ultimi stupri di guerra di cui era venuto a conoscenza erano stati perpetrati contro dei bebè. L’orrore assoluto.

In particolare, nel parco nazionale del Virunga, dove sono stati uccisi l’ambasciatore e il carabiniere, una delle prime materie prime saccheggiate dai ribelli sono le foreste, che vengono trasformate in carbone per un valore annuo di circa 27,5 milioni di euro. C’è poi la cattura dei gorilla di montagna, che qui hanno il loro ultimo santuario, con le cui zampe si fabbricano trofei e i cui cuccioli rientrano nel lucroso contrabbando della fauna selvatica. Gli elefanti vengono invece uccisi per il loro avorio, venduti dai trafficanti attraverso i confinanti Ruanda e Uganda.

A queste attività di saccheggio si aggiungono le tasse percepite illegalmente dai gruppi armati, sia i Mai Mai che le Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), tasse imposte ai pescatori sulle sponde del Lago Eduardo: in tutto ogni settimana circa 2 mila piroghe pagano ai miliziani cinque euro in cambio di un gettone che autorizza la loro circolazione.

Nel Virunga si è poi sviluppata un’altra attività altamente redditizia per i gruppi armati: il rapimento dei dipendenti delle Ong internazionali, ma anche di poveri contadini e soprattutto dei preti. I rapiti sono liberati solo se le famiglie, in genere molto povere, riescono a pagare il riscatto, somme esorbitanti fino a 500 mila dollari. Numerose famiglie hanno raccontato di essersi indebitate a vita pur di salvare i propri cari.

Oltre a proteggere la fauna del parco, nel corso degli anni le guardie forestali sono diventate soldati incaricati di proteggere anche i civili. Oggi 800 agenti sono dispiegati nel parco del Virunga, ben equipaggiati e addestrati dalle forze belghe. L’anno scorso, i ribelli hanno ucciso in un attacco contro una loro caserma 17 ranger. Eppure, nonostante le aggressioni subite, il numero di gorilla è in aumento, ed ha recentemente raggiunto e superato le mille unità.

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