Consulta, la relazione sul 2020. Coraggio: “Per il Covid e nella Sanità più collaborazione fra Stato e Regioni”

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Il lutto, innanzitutto. Quello dovuto “a quanti hanno sofferto la perdita dei loro cari”. Perché “la pandemia è stata una prova difficile per il nostro Paese, che tuttavia ha dato grande dimostrazione di sé”. Parte con queste parole il presidente della Consulta Giancarlo Coraggio che torna, “in presenza” davanti alle massime autorità dello Stato – dal capo dello Stato Sergio Mattarella, al premier Mario Draghi, alla ministra della Giustizia ed ex prima presidente donna della Corte Marta Cartabia –  a raccontare agli italiani che cosa ha fatto la Corte costituzionale nell’anno nero della pandemia.

Risultati positivi che non hanno risentito della pandemia e che hanno dimostrato come il “giudice delle leggi” ha saputo inventarsi una sua nuova dimensione. Una “efficienza” che Coraggio riassume così: nell’attività della Corte “non solo il numero di decisioni è stato sostanzialmente analogo a quello dell’anno precedente, e in linea con quello degli ultimi cinque, ma si sono anche ridotti i tempi di conclusione dei giudizi, scesi, per quelli incidentali, da circa un anno a otto mesi”.

Il diritto di tutti alla sanità

Ma è la sanità il focus della relazione di Coraggio. Perché se il 2020 è stato per tutti l’anno della malattia, dei centomila morti, dell’incubo dei vaccini, allora è proprio dalla sanità, dal suo ruolo “necessariamente” nazionale al di là delle competenze regionali, che si deve partire per ribadire che il diritto alla salute, al di là delle controversie, deve essere sempre garantito a tutti. 

Dice Coraggio: “La Corte ha tradizionalmente negato l’esistenza di un diritto illimitato alla salute, proprio in considerazione delle incontrollabili ricadute finanziarie, affermando anche, tuttavia, che il valore di una sana gestione delle risorse non può spingersi sino a comprimere i livelli essenziali delle prestazioni, che in tal modo divengono oggetto di un diritto fondamentale”. Ancora: “È la garanzia dei dritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.

Ridurre conflittualità Stato-Regioni

Ne consegue l’invito netto a ridurre la conflittualità tra Stato e Regioni.  Che Coraggio riassume in questa frase: “Oltre all’ormai costante richiamo alla leale collaborazione dello Stato e delle Regioni nelle materie di interesse comune o in ambiti posti al crocevia di una pluralità di competenze, appare anche opportuno invitare tutti gli attori istituzionali a riflettere sulla necessità di apprestare più efficaci meccanismi di prevenzione e risoluzione dei conflitti”. 

Prosegue il presidente della Consulta: “Il fatto è che la peculiarità implicita in un servizio nazionale, ma a gestione regionale, può essere risolta solo con un esercizio forte, da parte dello Stato, del potere di coordinamento e di correzione delle inefficienze regionali: il suo esercizio inadeguato non solo comporta rischi di disomogeneità, ma può ledere gli stessi livelli essenziali delle prestazioni”.

Il lavoro e la sua tutela in caso di licenziamento, la responsabilità genitoriale e la tutela dei minori, i diritti e i doveri delle coppie omosessuali, la genitorialità biologica e legale, la procreazione medicalmente assistista. Ecco i “diritti” che la Corte è venuta via garantendo con altrettanto sentenze. Così come – dice Coraggio – “le situazioni soggettive che vengono in rilievo di fronte alla complessa, stratificata e a tratti disomogenea legislazione sull’esecuzione carceraria ed extra muraria delle pene, oggetto di una incessante attività della Corte di adeguamento ai precetti costituzionali e, in particolare, all’articolo 27 della Costituzione”. Quello che fissa un inderogabile principio: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Il ruolo del Parlamento

Dal caso Cappato, al carcere per i giornalisti, infine con l’ergastolo ostativo, la Consulta ha aperto una nuova pagina nei suoi rapporti con il legislatore. Stop ai “moniti” che non sortivano grandi risultati, rinvio al Parlamento, con l’obbligo di risolvere le questioni entro dodici mesi, i casi più controversi, quelli in cui c’è un’evidente incostituzionalità che però deve essere risolta dal legislatore perché comporta delle scelte.

E qui Coraggio è esplicito: “Viene in evidenza il problema del rapporto con il legislatore, problema che da sempre costituisce un aspetto delicato del sindacato di costituzionalità e che del resto era stato sottolineato da autorevoli esponenti dell’Assemblea costituente. La consapevolezza di questo limite è una stella polare nell’attività giurisdizionale della Corte, cui si impone il rispetto delle prerogative del Parlamento, quale interprete della volontà della collettività, chiamato a tradurre il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale”.

Per questo, spiega Coraggio, “in mancanza di punti di riferimento normativi e in presenza di interventi complessi e articolati, la Corte si è sentita obbligata a privilegiare il naturale intervento del legislatore, ricorrendo alla tecnica processuale della incostituzionalità “prospettata”: all’accertamento della contrarietà a Costituzione della norma censurata fa seguito non già la contestuale declaratoria di illegittimità costituzionale, ma il rinvio a una nuova udienza per l’esame del merito, dando tempo così al legislatore di disciplinare la materia”. 

Il carcere per i giornalisti

Tra i rinvii alle Camere ecco la questione del carcere per i giornalisti. Le Camere avevano 12 mesi di tempo. Che scadono a giugno. Quasi nulla è stato fatto. E ciò fa prevedere che, come per il fine vita, anche questa volta la Corte sarà costretta a decidere da sola. Dice il presidente Coraggio in proposito: “La Corte ha dapprima osservato che il bilanciamento effettuato dalle norme del codice penale e da quelle della legge sulla stampa è divenuto inadeguato, anche alla luce della copiosa giurisprudenza della Cedu, e che questo impone una rimodulazione, come dicono i giudici di Strasburgo, in modo da coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica con le altrettante pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti.

E Coraggio volutamente cita proprio le parole della Corte dei diritti dell’uomo quando dice che “un simile, delicato bilanciamento spetta in primo luogo al legislatore, sul quale incombe la responsabilità di individuare complessive strategie sanzionatorie, in grado, da un lato, di evitare ogni indebita intimidazione dell’attività giornalistica; e, dall’altro, di assicurare un’adeguata tutela della reputazione individuale contro illegittime – e talvolta maliziose – aggressioni poste in essere nell’esercizio di tale attività”.

 

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