Contrattazione collettiva e niente salario minimo legale, scende in campo il Cnel. Ecco il metodo Brunetta

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Riecco il Cnel. Dopo aver schivato la scure renziane del referendum costituzionale del 2016, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ritorna al centro del dibattito grazie al salario minimo. O meglio: come conseguenza dell’attendismo di Giorgia Meloni sulla proposta delle opposizioni. L’idea della premier è quella di incaricarlo per “l’elaborazione di una possibile legge da portare in Parlamento”. L’organo è presieduto dall’ex forzista Renato Brunetta che già nei mesi scorsi aveva proposto il Cnel come soggetto mediatore. Come? Attraverso una memoria depositata in commissione Lavoro alla Camera, la quale avanza otto proposte (principalmente di metodo) con l’obiettivo di creare la base per una proposta concreta.

1. Coinvolgere le parti sociali

Il primo punto mette l’accento sul coinvolgimento delle parti sociali, sindacati e rappresentanti del mondo dell’impresa. Questo – recitano il quinto e il sesto punto – con l’obiettivo di “favorire un pieno sviluppo a tutti i livelli della contrattazione” e contrastare i cosiddetti ‘contratti pirata’ (firmati dai sindacati poco rappresentati e con paghe basse). Necessario, dunque, è che il trattamento economico faccia riferimento al contratto collettivo di riferimento. Una proposta, questa, già avanzata a più riprese dalla maggioranza come contraltare del testo messo sul tavolo dalle opposizioni.

2. No al minimo legale

Di minimo legale, del resto, non si fa riferimento all’interno della memoria consegnata da Brunetta. Anzi, si sottolinea la necessità di non limitarsi alla questione “salario minimo sì o salario minimo no”, ma “affrontare, a monte, i problemi che ostacolano la crescita dei salari dei lavoratori, tra cui i ritardi nei rinnovi contrattuali aggravati dalla crescita del costo della vita e dall’elevato cuneo fiscale, dall’impatto della precarietà, del part-time involontario e del ‘lavoro povero’.

3. Profit sharing

Non solo: il nodo, secondo il presidente del Cnel, è rappresentato anche dalla bassa produttività, fattore spesso indicato come responsabile della scarsa se non nulla crescita dei salari in Italia. Ma si parla anche di “riforma fiscale” in favore dei salari bassi e di rilanciare la connessione tra salari e andamento di impresa. Tra le forme di decontribuzione immaginate da Brunetta vengono ipotizzate “forme di partecipazione dei lavoratori, con una più forte legislazione fiscale di sostegno, a partire dalle soluzioni di profit sharing”. Una sorta di distribuzione ai lavoratori degli utili d’impresa che, tra le altre cose, somiglia alla proposta presentata pochi giorni fa dai renziani di Italia Viva. Gli stessi che hanno preferito tenersi defilati e che, ironia della sorte, il Cnel volevano abolirlo. 

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