Cop26, a Glasgow un’intesa al ribasso: “Poco per la soglia di 1,5 gradi”

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GLASGOW. “Sono profondamente dispiaciuto. Davvero”. Alle 19.41, il presidente della Cop26, Alok Sharma, si blocca. Dopo due settimane di incessanti negoziati a Glasgow e un clamoroso colpo di scena finale, non riesce più a parlare. Si commuove, di fronte al mondo.

Scrosciano applausi della sala plenaria. Tra incoraggiamento, frustrazione, rabbia. L’India, con il sostegno invisibile e decisivo della Cina, ha appena affondato il capitolo sul carbone del “Glasgow Climate Pact” della Cop26, il documento finale del vitale vertice sul clima in Scozia. Che ieri sera si è concluso con un coup de théâtre. Perché, pochi minuti prima dello sconforto di Sharma, il delegato indiano fa scacco matto con un emendamento last minute alla plenaria finale: “Chiediamo di utilizzare il termine “phase down” (“diminuzione dell’utilizzo di carbone”), invece di “phase out” (“rinuncia”)”.

Piomba la tristezza in sala. Oramai è impossibile riaprire il delicatissimo documento finale. O ridiscuterlo. Il tempo è scaduto. L’India, con Cina, Bolivia, Sudafrica e i silenti sauditi come quinte colonne, l’ha spuntata grazie al ticatto finale. Inglesi, americani ed europei ingoiano il rospo. La delegata svizzera è una furia: “Non abbiamo altra scelta adesso. Ma siamo terribilmente delusi. Ciò ci allontanerà dall’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura terrestre a 1,5 gradi”. Soglia per gli scienziati fondamentale per evitare il disastro ambientale.

Si chiude così la Cop26, in una Glasgow desolata. I leader mondiali negli ultimi giorni non si sono fatti vedere. Anche le poche proteste ieri erano sfinite. Certo, la Cop26 ha significato anche molti progressi, firmati da circa 200 Paesi: centinaia di miliardi di dollari promessi ai Paesi poveri contro il climate change; l’intesa strategica Cina-Usa; gli accordi su deforestazione, riduzione gas metano e stop agli investimenti sui combustibili fossili all’estero, in vista della Cop27 di Sharm el Sheik in Egitto. “È un accordo comunque storico”, concordano Boris Johnson e il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans. Ma per il premier britannico “c’è ancora molto da fare nei prossimi anni”.

Il carbone è un elemento capitale nella lotta alle emissioni globali. La Cina ne è il principale responsabile al mondo (28%) e l’India il terzo (7%), dopo gli Usa. Quello di ieri è un duro colpo. Eppure Sharma, Kerry e gli europei hanno fatto di tutto per portare a casa il testo sul carbone e sui combustibili fossili. Nonostante annacquamenti continui di cinesi, indiani e sauditi.

Ma il piano degli occidentali fallisce. Alle 17 locali, nella plumbea e sempre più tesa sala plenaria dello Scottish Exhibition Campus di Glasgow, scatta l’accerchiamento contro India e sodali. Alcuni Paesi meno concilianti cedono uno a uno: Indonesia, Brasile, pure l’Australia, il più grande esportatore di carbone al mondo, e i Paesi meno sviluppati. Tutti sostengono che l’ultima bozza dell’intesa sul clima è un compromesso accettabile.

Allora Sharma tenta lo scatto decisivo. “Perfetto, riuniamoci tra poco. E votiamo”. Come nel poker, Sharma fa “all in”. Rischia tutto e convoca il voto finale sul testo esistente, nonostante le ostinate resistenze di India, sauditi e anche l’Iran sull’addio a carbone e combustibili fossili. Se l’India vuole sabotare questo capitolo, deve farlo in diretta mondiale. Lo farà.

Poi c’è la Cina. Il ministro dell’Ambiente Zhao Yingmin annuncia in plenaria nel pomeriggio: “Il testo non è perfetto, ma non abbiamo intenzione di riaprirlo”. Qualcuno ci casca: è fatta. Alle 19.30 Xie Zenhua annuncia: “We have a deal!”, “Abbiamo un accordo!”, mostrando il pollice alto. 

Invece, in combutta con l’India, Pechino tesse un soffocante ostruzionismo sul carbone. L’inviato Usa per il clima John Kerry se ne accorge e sbotta con il pari cinese Xie Zhenhua: “Vi siete impegnati sulla rinuncia al carbone nei prossimi 20 anni! Avete firmato l’altro giorno!”. Niente da fare. Nonostante la telefonata poco prima tra il segretario di Stato Usa Anthony Blinken e il suo pari cinese Wang Yi e la cruciale videocall prevista domani tra Joe Biden e Xi Jinping.

Gli inviati per il clima si assembrano, parlottano e bofonchiano tra i banchi: sono le “ammucchiate” finali. Sscoccano i momenti decisivi. Sharma, Kerry, Xie Zhenhua e l’europeo Frans Timmermans (“vi imploro, firmate questo testo!”) escono insieme. Tra i gelidi corridoi, vanno dalla delegazione indiana.

Tutto inutile: indiani e cinesi sono irremovibili. Per cambiare posizione, devono avere il permesso di Xi e Modi. Sharma fa pubblicare il “Glasgow Climate Pact” e annuncia: “Ora è il momento della verità”. 

Ma l’azzardo capitola. I successi della Cop di Glasgow vengono macchiati da questo epilogo. Il segretario Onu, Antonio Guterres, sfoga tutta la sua delusione: “Un accordo pieno di contraddizioni, il pianeta così resta appeso a un filo”. Dure critich  da ong come Greenpeace e Oxfam. Mentre Greta Thunberg e l’altra star di Friday for Future, Vanessa Nakate promettono online: “Questo accordo non è un passo in avanti. È ancora “bla bla bla”. È uno tsunami di “greenwashing”. Toccherà a noi salvare il mondo. Perché noi non ci arrenderemo mai. Mai”. 

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