Coronavirus, allarme dei medici: “La variante inglese contagia anche chi indossa le chirurgiche”

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Meno aggressiva ma più contagiosa, la variante inglese del Covid prolifera in città. “Buca” le mascherine nei luoghi chiusi. Contagia anche chi si attiene in maniera stringente alle disposizioni di sicurezza. Risultato? Si abbassano l’età media dei malati e la loro capacità di saper collaborare alla ricostruzione dei link epidemiologici. “Sempre più spesso – afferma Pier Luigi Bartoletti, il responsabile della task force anti-contagio Uscar dei medici e degli infermieri volontari – quando chiediamo a un paziente che si è appena scoperto positivo come ha contratto il virus, ci sentiamo rispondere “Non ne ho idea””.

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Il ché non sarebbe immotivato. “Il virus si sta adattando alle contromisure che usiamo per proteggerci – dice Bartoletti – la variante inglese ha una carica virale più bassa, il ché non significa che sia meno pericolosa”. Perché se invece di contagiare cento persone ne contagia mille, “è chiaro che infetta più malati – fa notare Bartoletti – la letalità si misura sulla percentuale dei malati aggrediti dal virus”. Il ragionamento non muove da uno studio scientifico, ma dalla casistica riscontrata sul campo da diversi medici di famiglia, al lavoro da Roma Nord al Torre Angela.

“Non abbiamo evidenze scientifiche – premette Francesco Buono, nel suo studio in via di Villa Severini, a Corso Francia – notiamo però una maggiore diffusività del virus”. Su 1540 pazienti, Buono ha attualmente in cura “circa 20 positivi, senza sintomi gravi – rileva – la maggior parte ha scoperto di avere il covid per caso”.

Storie che ricorrono all’altro capo della città. “Rispetto a ottobre ho più giovani tra i positivi e con una carica virale più bassa – aggiunge Ombretta Papa, medico di famiglia a Torre Angela – i miei 20 contagiati, su 1.500 pazienti, hanno un’età compresa tra i 20 e i 50 anni. Quasi tutti non accusano sintomi gravi e contagiano le famiglie. Come i due 30enni che mi hanno contattata 10 giorni fa, sono convinti di averlo preso mentre facevano sport all’aria aperta. Non sanno ricostruire il link”.

Perché “la variante inglese ha una capacità infettiva più alta, fino al 70%”, conferma Walter Ricciardi, il consigliere scientifico del ministro della Salute per la pandemia da coronavirus e professore di Igiene all’Università Cattolica di Roma.

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“Se indossiamo le mascherine chirurgiche o di stoffa in un luogo chiuso e non areato, senza mantenere la distanza di sicurezza, il virus inglese penetra meglio nelle mucose e quindi la probabilità di infettarsi aumenta”. Mentre “se utilizziamo le mascherine Ffp2, Ffp3, che esercitano un’azione filtrante, il pericolo non sussiste – assicura – dobbiamo adottare misure più rigide per evitare il contagio. Nessuno studio conferma la sua aumentata capacità di sopravvivere più a lungo sulle superfici”.

Anzi, “la trasmissione a seguito di contatto con le superfici contaminate –  ragiona Enrico Di Rosa, il direttore del Servizio igiene sanità pubblica della Asl Roma 1 – è marginale per tutte le varianti del virus”.

Sulla stessa linea di Ricciardi l’epidemiologo Massimo Ciccozzi, ordinario di Statistica medica ed epidemiologica molecolare al Campus Biomedico di Roma: “Sebbene la variante britannica sia più contagiosa, rispettando tre capisaldi: mascherina, distanziamento e gel igienizzante, la probabilità di infettarsi è minima anche con il virus mutato”.

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