Coronavirus, la Russia registra il primo vaccino per animali. Ma quanto sono contagiosi?

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La Russia ha approvato quello che afferma essere il primo vaccino al mondo contro il coronavirus per animali. A rivendicare l’ultimo primato moscovita nella lotta al Covid-19 è stato il Servizio federale russo per la supervisione veterinaria, Rosselkhoznadzor. Un altro vaccino, messo a punto dall’americana Zoetis è stato per il momento usato su nove scimmie dello zoo di San Diego, quattro orango e cinque bonobo, dopo essere stato testato su cani, gatti e visoni. Può darsi che i primati abbiano sofferto un po’ di mal di testa: i guardiani li hanno visti massaggiarsi il capo dopo la puntura.

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Il vaccino chiamato Karnivak-Kov costerà circa 500 rubli (5,5 euro) ed è destinato principalmente ad animali domestici e allevamenti da pelliccia. Dopo una fase di sperimentazioni cliniche su cani, gatti, visoni, volpi artiche e altri animali già a partire da ottobre, la produzione su scala industriale della sospensione iniettabile potrebbe essere avviata già entro questo mese in uno stabilimento che produce farmaci veterinari, ha detto il vice capo di Rosselkhoznadzor Konstantin Savenkov. Aziende agricole in Paesi come Stati Uniti, Canada e Singapore, nonché Austria, Grecia e Polonia, avrebbero già espresso il loro interesse.

“I risultati ci consentono di concludere che il vaccino è innocuo e ha un’elevata immunogenicità, poiché tutti gli animali testati hanno sviluppato anticorpi contro il coronavirus nel 100% dei casi”, ha detto Savenkov. Gli studi sull’efficacia a lungo termine di KarniVak-Kov sono ancora in corso, ma si pensa che fornisca un’immunità protettiva agli animali domestici per almeno sei mesi.

La Russia lo scorso agosto era stato il primo Paese ad approvare un vaccino umano, lo Sputnik V, sebbene altri candidati fossero in realtà più avanti negli studi clinici in quel momento. Da allora ha promosso lo Sputnik V in tutto il mondo e lanciato altri due vaccini umani contro il Covid-19, anche se la sua campagna di vaccinazione nazionale è rimasta indietro a causa del diffuso scetticismo.

Gli animali si ammalano di Covid-19?

L’agenzia ha affermato di aver sviluppato il vaccino per gli animali in parte come strumento di salute pubblica, per evitare che il virus passi dagli animali all’uomo o, nel peggiore dei casi, “la mutazione del virus, che più spesso si verifica durante la trasmissione interspecie”, ossia che il virus muti negli animali e poi si diffonda tra gli esseri umani in una forma più virulenta.

L’obiettivo è anche rilanciare l’allevamento di animali da pelliccia dopo che i contagi negli allevamenti di visoni l’anno scorso aveva portato all’abbattimento di milioni di esemplari in Danimarca e nei Passi Bassi per il timore della prima trasmissione da animale a uomo conosciuta.

La Danimarca abbatte 17 milioni di visoni portatori di una variante del coronavirus

La Danimarca ordinò l’abbattimento di tutti i visoni d’allevamento – circa 17 milioni di animali – dopo che il virus si era diffuso da un visone a un essere umano. Un visone allevato nello Utah sembrava inoltre avesse trasmesso il virus ad almeno un visone selvatico. E gli scienziati avevano lanciato l’allarme che il virus creerebbe un “serbatoio” negli animali selvatici che potrebbe successivamente diffondere il contagio tra gli esseri umani.

“Abbiamo fatto questo lavoro per il futuro”, ha detto Savenkov. “Dobbiamo essere pronti a prevenire una situazione piuttosto che affrontarla in un secondo momento se prenderà una svolta negativa”. Solo nell’ultima settimana sarebbero stato quattro le segnalazioni di animali domestici contagiati, in Italia e in Messico, nota l’agenzia russa.

Lunedì l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) aveva pubblicato un rapporto che definiva “molto probabile” che il Covid-19 sia passato dai pipistrelli agli umani tramite un ospite intermedio ancora sconosciuto. Inizialmente si sospettò dei serpenti o dei pangolini in via di estinzione come “anello mancante” della pandemia globale.

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Ma gli animali sono contagiosi?

Gli animali, però, non sono tutti contagiosi. Possono prendere il Covid-19, ma non passarlo agli umani. Anzi, è più facile che avvenga il contrario, che sia l’uomo a contagiare l’animale. Lo sa bene Nicola Decaro, veterinario che ha diagnosticato il primo caso in Italia di coronavirus in un cane. “Gli animali hanno diverse sensibilità al virus – dice – Il cavallo è totalmente resistente, invece i primati non umani, come macachi e gorilla, sono estremamente sensibili”.

Cani e gatti? Possono contrarre il virus ma raramente sviluppano sintomi – più i gatti che i cani – ma in nessun caso l’hanno trasmesso all’uomo. Perciò l’ipotesi del vaccino russo da inoculare agli animali domestici non lo convince: “Non ha alcun senso scientifico ed epidemiologico”, precisa il veterinario, fratello del sindaco di Bari Antonio.

“I casi di infezione di cani e gatti sono meno di 50 in tutto il mondo, e poi non sviluppano sintomatologia, se non in circostanze eccezionali. Il vaccino non serve a proteggere loro, che non rappresentano neanche un rischio per l’uomo. Io non lo consiglierò mai”.

Diverso il caso dei visoni, specie se di allevamento: “Sono molto sensibili al virus, ed essendo allevati in spazi ristretti rappresentano il substrato ottimale per l’amplificazione del virus e la comparsa di mutazioni che potrebbero essere pericolose per l’uomo”, continua il veterinario.

Per scimpanzé e gorilla, invece, il problema è un altro: sono specie in via di estinzione, e “in alcuni zoo negli Stati Uniti si è deciso di vaccinare prima loro, i primati non umani”. Chi li ha contagiati? “È stato l’uomo”, è certo Nicola Decaro.

Il rischio dei contagio tra i topi

Gatti e visoni: specie che infettandosi potrebbero crearci problemi. Ma mai quanto topi e ratti, che vivono a milioni nelle nostre città. Finora questi roditori sembravano immuni dal coronavirus, almeno nel ceppo non mutato. Un gruppo di ricercatori francesi dell’Institut Pasteur ha invece fatto una scoperta inquietante, dimostrando che  la variante brasiliana e sudafricana possono infettare e replicare nei polmoni dei loro topi di laboratorio.

“Se il coronavirus si diffondesse in animali così numerosi e vicini a noi, il concetto di immunità di gregge salterebbe completamente” spiega Luca Guidotti, virologo dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano e vicedirettore della ricerca scientifica. I roditori creerebbero un reservoir nascosto del virus direttamente nel ventre delle nostre città. 
 
“Il virus originario di Wuhan e la variante inglese non erano capaci di infettare i topi. Ma è normale per i coronavirus mutare rapidamente e passare da una specie all’altra. Non c’è quindi da stupirsi che Sars-Cov-2 abbia compiuto questo salto” spiega il virologo.

I ricercatori del Pasteur hanno notato che le varianti sudafricana e brasiliana, a differenza delle precedenti, sono capaci di legarsi al recettore delle cellule dei topi, il famoso Ace2. “Il recettore è uguale al 100% se guardiamo a uomo, scimpanzé e gorilla. Nel macaco c’è una differenza dell’1%, che diventa un po’ più alta se prendiamo in considerazione il topo. Ma si tratta di variazioni che con qualche mutazione il coronavirus è in grado di superare. Non c’era motivo per cui quanto osservato dal Pasteur, prima o poi, non avvenisse”. 
 
Dal punto di vista della ricerca di laboratorio, la notizia non sarebbe nemmeno troppo cattiva: i topi vengono usati per capire i segreti della malattia e testare i farmaci. Il fatto che non si infettassero aveva frenato gli studi, soprattutto nei primi mesi di pandemia. “Avevamo bisogno di topi geneticamente modificati in modo che avessero lo stesso Ace2 dell’uomo. Ma è un lavoro che porta via mesi di lavoro. Ora potremmo avere il modello animale già pronto” spiega Guidotti. 
 
Le buone notizie però finiscono qui. Se il virus si diffondesse fra topi e ratti, si creerebbe un reservoir alquanto preoccupante. “Sono animali numerosi, vivono in colonie e sembra, secondo le prime notizie, che abbiamo spesso forme asintomatiche. L’ideale per raggiungere grandi numeri nei contagi, sviluppare nuove mutazioni e ritrasmetterle all’uomo”, spiega Guidotti. “Senza voler essere allarmistici, sarebbe opportuno effettuare dei controlli a campione anche su questi animali”. Anche il monitoraggio periodico delle acque reflue che alcune città conducono con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità potrebbe aiutare. 
 
Il fatto che il coronavirus si trasmetta per via respiratoria ci protegge certo dal contagio dai topi, ma fino a un certo punto. “Sappiamo – spiega Guidotti – che i recettori Ace sono numerosi nell’intestino e che il virus si trova anche nelle feci. Sembra, ma su questo c’è più incertezza, che sia presente anche nelle urine”. Se fosse capace di resistere per tempi lunghi nei materiali organici, potremmo ritrovarlo per esempio sotto forma di aerosol, sollevato dal traffico o dalle operazioni di pulizia, sia in campagna che in città.

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