Coronavirus, l’immunologa Viola: “Accelerare la vaccinazione e riservare il vaccino AstraZeneca ai più giovani e sani”

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Le varianti del virus riducono l’efficacia dei vaccini, quindi bisogna stare attenti a non farne sviluppare di nuove con terapie poco attente e con una somministrazione del richiamo vaccinale eccessivamente dilazionata nel tempo. La ricetta più efficace per proteggere tutti è accelerare il più possibile la vaccinazione e riservare il vaccino AstraZeneca, data la sua minore efficacia, alla parte più giovane e sana della popolazione. A dirlo a Repubblica è una delle esperte più ascoltate in Italia, l’immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica e docente all’università di Padova.

Professoressa Viola, le varianti crescono (in Campania ne è stata appena isolata una mai descritta prima in Italia): se contraggo il virus da cosa posso intuire che tipo di variante ho?

Non si può intuire, perché non c’è nessuna differenza sensibile tra le varianti, nemmeno nei sintomi. L’unico modo è l’analisi molecolare. Ovvero il sequenziamento dello RNA del virus, che va a verificare se sono presenti le mutazioni caratteristiche di una certa variante. Per chi si contagia oggi in Italia non c’è altro modo per capire con certezza quale variante si abbia. E in fondo per il paziente non ha nemmeno molto senso saperlo, perché la terapia è la stessa.

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Aver viaggiato nei Paesi dove le varianti circolano è un fattore di rischio?

Sì, senza dubbio. Se io fossi stata in Sudafrica e fossi stata contagiata lì è ovvio che avrei avuto una maggiore probabilità di aver contratto la variante sudafricana. Lo stesso discorso per le varianti inglese e brasiliana.

Nei giorni scorsi c’è stata una polemica perché in alcune regioni i medici si sono rifiutati di vaccinarsi col vaccino AstraZeneca, per via dell’efficacia inferiore. Quella del vaccino Pfizer è 95%, quella di AstraZeneca è 60%. Il restante 40% dei vaccinati cosa rischia?

Quello che si pensa è che anche nelle persone che comunque si infettano e mostrano dei sintomi, non si arriverà ad avere una malattia grave come quella che si può avere se non si è vaccinati. Solo che mentre con Pfizer il 95% delle persone non svilupperà nessun sintomo, con AstraZeneca questi saranno solo il 60%. Ma comunque un certo grado di protezione ci sarà anche per il restante 40% e quindi la letalità o la probabilità di un ricovero in terapia intensiva saranno più basse. Se il virus entra in queste persone, si replicherà ma non così tanto da causare quell’infiammazione sistemica, quella tempesta citochinica che causa i danni peggiori all’organismo. Però abbiamo bisogno di più dati per discutere meglio su quali tipi di sintomi potrà sviluppare chi fa parte di quel 40%, e come sarà la contagiosità.

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Qual è il dubbio sulla contagiosità?

Sappiamo che il vaccino di AstraZeneca non blocca l’infezione, ma non abbiamo ancora certezze sulla contagiosità: se io sono positivo, quindi ho l’infezione, ma gli anticorpi stanno funzionando, probabilmente non sono contagioso perché avrò una carica virale bassa. Però questo non lo possiamo ancora sapere: ecco perché è necessario continuare a mantenere tutte le precauzioni come mascherina e distanziamento.

Cosa caratterizza la risposta immunitaria in quel 40% di persone per cui il vaccino di AstraZeneca risulta non efficace?

In queste persone è fallita una risposta immunitaria in grado di bloccare la replicazione del virus. Quindi il virus si replica e la malattia c’è. E anche i sintomi si avvertono. Questo potrebbe dipendere da un livello di anticorpi neutralizzanti più basso rispetto a chi fa parte del 60% dei protetti dal vaccino. Ci potrebbero anche essere dei soggetti in cui non si ha risposta del sistema immunitario e non si formano anticorpi, ma sono dei casi rari e questo può succedere per tutti i vaccini.

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Contro la variante inglese i vaccini funzionano tutti?

Sì, perché la variante inglese, a differenza delle varianti brasiliana e sudafricana, non ha mutazioni che impediscono agli anticorpi neutralizzanti di legarsi al virus. La variante inglese ci preoccupa perché è molto diffusa da noi e ha una maggiore trasmissibilità, per via di una mutazione che permette alla proteina Spike di legare in maniera più efficace il recettore ACE2 per invadere le cellule. La variante inglese sembra avere anche una maggiore mortalità. Ovvero, a parità di contagi, causerebbe più ricoveri ospedalieri e più morti. Mentre le altre due varianti hanno delle mutazioni sulla proteina Spike che riducono l’efficacia degli anticorpi delle persone guarite, ed è quindi possibile reinfettarsi. Per queste e per altre nuove varianti che stanno emergendo, l’efficacia dei vaccini è inferiore.

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Può aver senso vaccinarsi prima con AstraZeneca, per avere un certo grado di protezione, e in seguito vaccinarsi con un secondo vaccino per aumentare le probabilità di non ammalarsi?

Bisognerà aspettare per vedere quanto dura la protezione con AstraZeneca e con Pfizer. E dobbiamo vedere quali nuovi vaccini emergeranno. Teniamo conto che il target dei vaccini di AstraZeneca e di Pfizer è lo stesso: la proteina Spike del virus. Quindi se il virus continuerà a mutare bisognerà iniziare a pensare a un vaccino che invece di prendere di mira quella mutevole proteina Spike, attacchi qualcosa che invece resta stabile nel genoma del virus.

C’è qualche vaccino che sembra poco vulnerabile alle mutazioni del virus (e quindi alle varianti)?

I vaccini cinesi – e qui sarei curiosa di vedere i dati, purtroppo non hanno pubblicato niente – usano una tecnologia diversa da Pfizer e AstraZeneca. Loro usano il virus intero inattivato. In questo caso ci sono più antigeni, più proteine che possono indurre la risposta immunitaria. Sarebbe interessante andare a vedere nel tempo se questo tipo di approccio permette di superare il problema delle varianti. L’altra cosa che si sta facendo è modificare i vaccini esistenti. Pfizer e Moderna stanno già modificando i loro vaccini sulla base delle varianti emerse. Perché questi vaccini sono facilmente modificabili, essendo delle sequenze di RNA, e basta cambiare la sequenza per avere un vaccino nuovo. Bisogna avere un po’ di pazienza e vedere cosa emerge. Però se noi andassimo avanti con la campagna di vaccinazione, per il momento queste varianti non sarebbero un problema.

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Quindi la ricetta è accelerare il più possibile la campagna di vaccinazione?

Accelerare la campagna, tenere bassa la circolazione del virus per evitare che sorgano le nuove mutazioni. Bloccare laddove possibile le mutazioni che ci sono, e non fare errori nella campagna di vaccinazione. Ad esempio io trovo sbagliato che si stia decidendo di avere un intervallo di vaccinazione di 12 settimane tra la prima e la seconda dose di AstraZeneca. Perché così noi sviluppiamo un’immunità parziale nelle persone: il virus può quindi entrare e replicarsi e può essere favorito l’insorgere di varianti. Tenere per tempi lunghi dei soggetti con un’immunità parziale non è una buona idea. Così come sappiamo che un altro sistema che permette lo sviluppo di varianti è la terapia con il plasma iperimmune. Ormai si sa che se prendiamo delle persone immunocompromesse, che fanno fatica a combattere il virus, e le trattiamo con il plasma iperimmune, le varianti che resistono agli anticorpi neutralizzanti che noi trasferiamo possono prendere il sopravvento ed emergere. Dobbiamo stare molto attenti in questo momento a non fare errori che possano favorire la comparsa di nuove varianti.

Come nasce una nuova variante?

Le varianti si creano casualmente: il virus ogni volta che si replica può inserire delle mutazioni. Poi c’è una selezione operata dal sistema immunitario. Se in una persona il virus si replica molto, e questa persona ha una quantità di anticorpi non sufficienti a bloccare completamente il virus, ma sufficienti a bloccare soltanto le varianti che riconosce, è chiaro che le altre varianti che si sono generate dentro di lui possono prendere il sopravvento. L’anticorpo è un freno, che però frena solo il virus a cui si lega bene. Per questo motivo durante la campagna di vaccinazione è importante tenere molto bassa la circolazione del virus per evitare che si selezionino le varianti resistenti.

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Aifa, Iss e Ministero della Salute sono ora d’accordo sul somministrare il vaccino di AstraZeneca anche alle persone tra 55 e 65 anni, purché sane. Lei è d’accordo?

Credo che la scelta iniziale di Aifa di destinare il vaccino di AstraZeneca solo agli under 55 in buona salute fosse la scelta migliore, giustificata dai dati disponibili e dal rischio dei soggetti. Francamente avrei preferito non allargare la fascia di popolazione sottoposta a questa vaccinazione, specie ora che abbiamo a che fare con varianti che potrebbero ridurne ulteriormente l’efficacia. Ma la cosa che mi preoccupa di più è la scelta di ritardare il richiamo a 12 settimane. Non c’è alcun dato solido a sostegno di questo ritardo e si rischia davvero di favorire lo sviluppo di varianti resistenti al vaccino. Inoltre, trovo sbagliato utilizzare questo vaccino per i medici. Gli odontoiatri sono, giustamente, seccati per questa scelta. Questo è un vaccino che andrebbe dedicato a persone a basso rischio, e a basso rischio di contagiare gli altri. Un medico odontoiatra che è esposto continuamente alle goccioline emesse dai pazienti non dovrebbe essere vaccinato con questo vaccino

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