Così la solitudine minaccia il cuore degli anziani (e non solo)

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Feste di Natale. Facciamo attenzione a tavola, ricordiamoci di non esagerare con i piatti eccessivamente grassi, troviamo il tempo per l’attività fisica. Ma aggiungiamo anche un pizzico di attenzione per chi è avanti con gli anni, per evitare che si senta solo durante le vacanze, forse ancor più che nel resto dell’anno.

La sensazione di solitudine, con il conseguente isolamento sociale, può infatti diventare un vero e proprio fattore di rischio cardiovascolare aggiuntivo, oltre a ipertensione, colesterolo alto, diabete, sovrappeso. E il peso di questo elemento non è da sottovalutare. L’isolamento sociale, per un anziano in buona salute, aumenterebbe del 66% la probabilità di subire un evento cardiovascolare come infarto o ictus. In presenza di un carente supporto sociale, poi, il rischio aumenterebbe del 50%, ovviamente in confronto a chi ha invece un ambiente socialmente “caldo” e coinvolgente che offra stimoli e soprattutto compagnia. Il tutto, va detto, senza considerare i fattori di rischio comunemente considerati.

A segnalare l’importanza di queste “terapie di supporto” non farmacologiche è una ricerca coordinata da Rosanne Freak-Poli dell’Università Monash, apparsa su BMC Geriatrics che segnala come proprio la solitudine e l’isolamento sociale possano essere considerati potenziali predittori del rischio cardiovascolare. Per giungere a questa conclusione gli esperti hanno ripreso i dati sociali e clinici dello studio ASPREE (ASPirin in Reducing Events in the Elderly) e di un ulteriore porzione di studio, per un totale di quasi 11.500 persone over-70 di entrambi i sessi seguite mediamente per poco meno di cinque anni.

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La ricerca ha anche permesso di definire le “soglie” oltre le quali parlare di carenza di supporto sociale e di solitudine, offrendo a tutti dei parametri da non sottovalutare. La solitudine è stata considerata tale quando una persona riferiva di sentirsi sola almeno tre giorni per settimana. L’isolamento sociale, invece, è stato definito come il sostanziale distacco da occasioni d’incontro ed attività con gli altri e la rarefazione dei contatti, che non hanno superato i quattro parenti e amici intimi al mese.

Questi parametri potrebbero quindi diventare, in futuro, una sorta di “soglia” di allarme anche sul fronte della prevenzione cardiovascolare. “Da tempo si conosce la correlazione tra stato sociale, con riferimento all’isolamento e maggior tendenza alla depressione, e prognosi e sopravvivenza delle persone con malattie cardiovascolari – segnala Francesco Landi, Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg). Diverse ricerche dimostrano che a parità di condizioni patologiche come un infarto, dopo il ritorno a casa chi ha un ambito accogliente e in compagnia rispetto a chi invece si ritrova a casa da solo o addirittura viene trasferito in una struttura residenziale dopo la dimissione dall’ospedale. In chi non ha supporto familiare adeguato la prognosi è peggiore. La solitudine, con ciò che comporta anche sul fronte delle abitudini di vita, prima tra tutte la sedentarietà e le modificazioni alimentari con la relativa tendenza alla depressione, incide quindi sia sul rischio di sviluppare problemi sia sul decorso di malattie eventualmente già presenti.”

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