Così la Terra è in zona rossa

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Mari, foreste, animali: la perdita di biodiversità non rallenta. Le attività umane continuano a “modificare significativamente”, come sottolinea il rapporto Onu del 2019, la maggior parte degli ecosistemi terrestri e marini, con il 40% dell’ambiente marino globale che mostra “gravi alterazioni”. E nessuno dei sei obiettivi che l’Unione Europea ha fissato nel 2011 per contrastare la perdita di biodiversità, obiettivi che si sarebbero dovuti raggiungere entro il 2020, è stato neanche lontanamente sfiorato.

Specie sempre più a rischio estinzione.Cambiamento degli habitat, eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, introduzione e diffusione di specie esotiche invasive e cambiamenti climatici si sono aggravati, annullando gli effetti delle azioni intraprese per arginare le minacce. Centrale per l’Ue entro il 2020 sarebbe stato “porre fine alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici e ripristinarli nei limiti del possibile, intensificando al tempo stesso il contributo dell’Unione per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale”.
 

Invece, secondo i dati Onu, il rischio di estinzione delle specie è peggiorato di circa il 10% negli ultimi tre decenni, con l’indice della Lista Rossa che è sceso da 0,82 nel 1990, a 0,75 nel 2015, a 0,73 nel 2020 (in cui un valore di 1 indica che nessuna specie è a rischio di estinzione nell’immediato futuro, mentre un valore di 0 indica che tutte le specie sono estinte). Fulcro della strategia era l’individuazione delle principali aree di biodiversità (le Kba, key biodiversity areas), cioè i luoghi più importanti al mondo per le specie e i loro habitat, dalle foreste pluviali alle barriere coralline, dalle montagne alle paludi, dai deserti alle praterie e alle parti più profonde degli oceani. Tuttavia nel 2020, in media, solo il 44% di ogni Kba terrestre e il 41% di ogni Kba d’acqua dolce era all’interno di un’area protetta, con un aumento di circa 12-13 punti percentuali dal 2000.

Gli effetti della pandemia. La pandemia può in parte aver rallentato progetti e piani di azione, ma anche se il coronavirus non avesse sconvolto il mondo negli ultimi 12 mesi, gli obiettivi non si sarebbero raggiunti comunque. Per quanto catastrofico sia stato l’impatto del virus nel complesso, sulla biodiversità ha avuto un effetto indiretto che a lungo andare potrebbe rivelarsi cruciale: intanto, ha dimostrato che laddove le attività antropiche rallentano e la presenza umana diminuisce animali e piante occupano gli spazi lasciati liberi, perciò si possono ricostituire ecosistemi integri anche dove c’è degrado. Soprattutto, però, il coronavirius ha chiaramente mostrato la connessione indissolubile tra salute del Pianeta e salute umana, la necessità di preservare gli ecosistemi per arginare l’insorgere di nuove pandemie.

Il rapporto pubblicato a fine ottobre da Ipbes, l’Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services, descrive in modo dettagliato i nessi tra declino della biodiversità e pandemie. Nel rapporto si legge che circa il 60% di tutte le malattie infettive negli esseri umani sono zoonotiche, così come il 75% di tutte le malattie infettive emergenti e molte provengono dalla fauna selvatica. Diventa perciò essenziale ridurre il contatto tra fauna selvatica, bestiame ed esseri umani, contenendo le attività antropiche che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura, allargando l’estensione delle aree protette esistenti, creandone delle nuove, riducendo lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alto grado di biodiversità. Questo non significa puntare soltanto alla creazione di zone in cui l’attività umana è totalmente interdetta e non a caso gli obiettivi europei e mondiali parlano di porre fine al degrado dei servizi ecosistemici, che nella loro totalità forniscono anche servizi di cui beneficiano gli esseri umani e quindi rappresentano la base delle nostre attività economiche e del nostro benessere. Secondo stime elaborate dall’Ocse nel 2019 (Biodiversity: Finance and the Economic and business Case for Action) i servizi ecosistemici forniscono benefici per 125-140 bilioni di dollari all’anno, o più di 1,5 volte il prodotto interno lordo globale, ma la minaccia sui servizi ecosistemi è fortissima e sempre l’Ipbes afferma che il loro declino dal 1970 in poi è stato rapidissimo.

La conservazione ad ampio raggio. Nella percezione generale, però, preservare la biodiversità è soprattutto salvare dall’estinzione alcune specie animali: da questo punto di vista molto ci sarebbe da fare per sensibilizzare l’opinione pubblica, che a sua volta dovrebbe influenzare le scelte politiche a livello globale, ma soprattutto locale, perché ci si occupi anche di piante e animali meno “popolari” dei mammiferi. Per esempio, gli anfibi, che sono oltre 6.500 specie nel mondo, sono in assoluto la classe di vertebrati più minacciata di estinzione del pianeta, poiché il 33% delle specie di rane, rospi, salamandre e tritoni oggi esistenti rischia di scomparire soprattutto a causa dell’immissione di specie alloctone. Uno dei sei obiettivi individuati dall’Unione europea contro la perdita di biodiversità era appunto di individuare e classificare in ordine di priorità, entro il 2020, le specie esotiche invasive e i loro  vettori per impedire l’introduzione e l’insediamento di nuove specie: molto si è fatto, ma soprattutto a livello locale sono poche le istituzioni che sono davvero consapevoli del danno che si può fare alla biodiversità se, per esempio, non si combatte il gambero rosso della Louisiana.

Giornata dell’ambiente, Boitani: “La biodiversità ci permette di esistere”

Pensare in grande, pensare in modo pratico. Osserva Luigi Boitani, biologo tra i maggiori esperti di biodiversità italiani: “Si fa di tutto un calderone, ci sono i grandi temi della crisi climatica e dello sfruttamento sostenibile delle risorse, ma la biodiversità è fatta di animali e piante per le quali si potrebbero intraprendere azioni immediate a livello locale. Si parla del rischio di estinzione dell’orso marsicano, ma non si riesce a mettersi d’accordo per garantire dei corridoi di passaggio che evitino alla fauna selvatica di attraversare l’autostrada. Soprattutto, in Italia ci si perde a livello locale, dove i grandi piani nazionali non vengono realizzati da regioni, comuni e province”. Boitani sottolinea poi un altro punto debole della strategia di salvuaguardia della biodiversità a livello globale: “La nuova strategia Ue per la Biodiversità al 2030 si pone l’obiettivo di stabilire aree protette per almeno il 30% del mare ed il 30% della terra in Europa, ma se poi questa percentuale si applica soltanto sulla carta è inutile. Meglio avere soltanto un 10% di aree protette, ma gestite bene e in maniera efficace”.
 

La nuova legge italiana. Nei giorni scorsi il Senato ha approvato l’inserimento nella Costituzione del principio di tutela dell’ambientee all’articolo 9 della nostra Carta, dopo il secondo comma è stato aggiunto: “La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi. La Repubblica persegue il miglioramento delle condizioni dell’aria, delle acque, del suolo e del territorio, nel complesso e nelle sue componenti. La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi costituisce diritto fondamentale della persona e della collettività ed è fondata sui princìpi di precauzione, azione preventiva, responsabilità e correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente. La Repubblica promuove le condizioni necessarie a rendere effettivo tale diritto. La Repubblica riconosce gli animali come esseri senzienti e ne promuove e garantisce il rispetto a un’esistenza compatibile con le loro caratteristiche etologiche”.
 

I principi enunciati sono importanti, ma come sempre si tratterà di vedere come saranno tradotti nell’azione pratica, soprattutto dove sarà necessario farli rispettare. Una volta modificata la Costituzione saranno infatti necessarie leggi di tutela e azioni di rinforzo conseguenti, altrimenti i principi resteranno, appunto, soltanto sulla Carta.

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