Covid grave ‘sballa’ il ritmo cardiaco: cresce di 16 volte il rischio aritmie (e non solo)

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Batte sempre. Regolarmente. Senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Ma se qualcosa non va per il meglio nel “tum-tum” del cuore, cominciano i problemi. Ed occorre sempre fare riferimento allo specialista. Questo monito, valido per tutti, è particolarmente indicato per chi ha avuto Covid-19 in forma grave, con un ricovero che ha richiesto il ricorso alla ventilazione meccanica. Il motivo? Nel primo semestre dopo la degenza crescerebbe addirittura di 16 volte il rischio di sviluppare una tachicardia ventricolare.

La condizione può mettere a rischio la vita perché il ventricolo sinistro non spinge come dovrebbe il sangue necessario per l’organismo. Il tutto, rispetto ai coetanei che si sono ammalati ma non in forma grave. Ma non basta. Aumenta anche la probabilità di andare incontro a fibrillazione atriale, sempre in confronto ai pari età con Covid leggero. A prestare particolare attenzione, pur se con numeri assoluti bassi, debbono essere soprattutto le persone anziane, specie se maschi. A mettere in guardia e a spiegare l’importanza del monitoraggio mirato per questi soggetti è una ricerca presentata ad EHRA 2023, il congresso annuale della European Heart Rhythm Association, che fa parte della Società Europea di Cardiologia (ESC).

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Analisi molto approfondita

Lo studio è stato condotto da Marcus Stahlberg, dell’Istituto Karolinska di Stoccolma, ed ha preso in esami i dati del registro svedese delle unità di terapia intensiva per identificare tutti i pazienti con Covid trattati con ventilazione meccanica e dimessi vivi da un’unità di terapia intensiva tra marzo 2020 e giugno 2021. Ogni paziente è stato abbinato per età, sesso e distretto di residenza con un massimo di 10 persone nella popolazione generale. Come obiettivi da valutare sono stati considerati il ricovero con tachicardia ventricolare, fibrillazione atriale, altre tachiaritmie o una bradicardia con eventuale impianto di pacemaker.

La ricerca ha compreso 3.023 pazienti con Covid grave che hanno ricevuto ventilazione meccanica in una terapia intensiva svedese e 28.463 individui della popolazione generale che non erano stati in una terapia intensiva che richiedeva ventilazione meccanica. L’età media è stata di 62 anni e nel 30% dei casi sono state valutate donne. Il monitoraggio è proseguito per nove mesi dopo la dimissione. Nei soggetti con Covid grave e necessità di ventilazione assistita si è osservato un incremento del rischio di 16 volte di tachicardia ventricolare, di 13 volte di fibrillazione atriale, di 14 volte di altre tachiaritmie e di 9 volte di bradicardia/ impianto di pacemaker.

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Ecco le aritmie prese in esame

La tachicardia ventricolare è un disturbo del ritmo cardiaco potenzialmente pericoloso per la vita che si verifica quando il ventricolo batte troppo velocemente per pompare correttamente, causando al corpo una ricezione insufficiente di sangue ossigenato. La fibrillazione atriale è un battito cardiaco irregolare e accelerato che provoca mancanza di respiro e aumenta il rischio di ictus. con la voce “altre tachiaritmie” si parla di una frequenza cardiaca accelerata in assenza di fibrillazione atriale. La voce “bradicardia o impianto di pacemaker” comprende un insieme di parametri, combinando sia un rallentamento significativo della frequenza cardiaca, quindi appunto la bradicardia, con la necessità di impianto di pacemaker proprio per la presenza di una spiccata diminuzione del numero dei battiti.

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Chi rischia di più

Dall’indagine svedese emerge chiaramente che l’età avanzata e il genere maschile rappresentano due condizioni che hanno aumentato il rischio di sviluppare forme serie di Covid-19. Ma ci sono anche indicazioni per il futuro. “I pazienti con Covid-19 che necessitano di ventilazione meccanica spesso presentano altre condizioni patologiche e la comparsa di un disturbo del ritmo cardiaco può portare a un peggioramento della salute – ha rilevato Stahlberg. Per questo dovrebbero sempre consultare un medico se sviluppano palpitazioni o battiti cardiaci irregolari dopo la dimissione dall’ospedale per essere valutati per possibili aritmie.  L’effettiva probabilità di sviluppare tachicardia ventricolare o altre aritmie dopo Covid-19 grave è bassa per il singolo paziente, ma molto più alta rispetto a quelli senza infezione grave”. E questo, anche in termini di assistenza e monitoraggio va sempre tenuto presente.

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