Covid, sul vaccino AstraZeneca l’ira delle infermiere: “Lo faremo, ma solo perché obbligate”

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Il dubbio, Chiara, Aurora e Marcella, ce l’hanno. Anzi, sono proprio furiose. Quel vaccino proprio non lo vogliono fare. Se ne stanno appoggiate all’inferriata che cinge lo stretto marciapiede su viale Enrico de Nicola, di fronte alla stazione Termini di Roma, a debita distanza dal tendone-hub gestito dalla Croce Rossa. Lì dentro somministrano AstraZeneca. E loro, tre infermiere di 29, 42 e 58 anni, tutte e tre impiegate in una casa di riposo, sono arrivate con un’ora di anticipo per decidere insieme il da farsi. “Ci stanno obbligando – dice Aurora, la 42enne – se rifiutiamo rischiamo il posto di lavoro. Ma personalmente, dopo tutto quello che hanno detto sul rischio trombosi, ho paura”.

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Mentre gli anziani, in fila, non battono ciglio, e si avviano sereni verso le poltrone delle iniezioni, i pochi giovani presenti – sono gli ultimi operatori sanitari e insegnanti ad attendere ancora la prima dose – sono in stato di agitazione. Per loro, la Regione Lazio ha riservato, mesi fa, solo dosi di AstraZeneca. Ma dopo il verdetto dell’Ema e la “raccomandazione” del governo di riservare il vaccino anglo-svedese solo agli over 60, è la confusione, mista al timore, a regnare sovrana.

Chiara, la più giovane, sventola un referto. “Nel 2015 ho avuto una tromboembolia a causa della pillola anticoncezionale, spero proprio che il medico lì dentro mi dica che non posso fare questo vaccino”. Aurora se la prende col governo: “Non hanno voluto prendere una decisione netta, non si sono voluti prendere la responsabilità, e imporre delle limitazioni reali ad AstraZeneca come hanno fatto negli altri paesi. Ma poi ci abbandonano”. Marcella, invece, ha avuto il Covid, pochi mesi fa. “Sono piena di anticorpi – dice – ho fatto il test, ma perché adesso devo fare il vaccino più rischioso, valgo meno degli altri?”. Ci tengono a sottolinearlo, non sono no-vax, “ma così non è giusto”. Marco, 29 anni anche lui, insegnante, è più tranquillo: “Ma se fossi una donna, credo che avrei più paura”, precisa.

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Alla fine Aurora non riceverà l’iniezione, il medico nella struttura valuta che per lei è più sicura una dose di Pfizer o di Moderna: verrà ricontattata in futuro, senza rischiare conseguenze lavorative. Alle altre due donne l’uomo in camice bianco non sa proprio cosa consigliare. Potrebbero aspettare il loro turno, quando verrà sbloccata la loro fascia d’età, ma “chissà quando arriva, può darsi che la struttura ci penalizzerà”, ragiona Aurora. Così, a malincuore, accettano. E mentre si avviano all’interno della tensostruttura, incontrano una collega, Alice, tutta raggiante. “L’ho scampata! – spiega – Dicono che si sono persi la mia prenotazione, non risulto da nessuna parte. Speriamo che riesca a riprenotare Pfizer, dato che ho 45 anni”.

Le cose non cambieranno, almeno nel Lazio: non verranno fatte distinzioni per fascia d’età, tutto sarà lasciato alla libertà del singolo, che potrà scegliere se accettare o meno un vaccino. L’imponente piattaforma di prenotazione che è stata messa in moto continuerà a funzionare nello stesso modo. Quando arriva il proprio turno (ora sta ai 65-64enni) il sistema permette di prenotarsi in ognuna delle oltre 100 strutture disponibili, senza specificare il tipo di vaccino che viene somministrato. Ma tutti i residenti hanno ormai imparato il trucco per scoprire il tipo di vaccino. Basta guardare la data del richiamo: se passano 21 giorni si tratta di Pfizer, se sono 28 è Moderna, se invece si devono attendere 12 settimane si tratta di AstraZeneca. E già adesso, tra gli ultrasessantenni e i settantenni, si registra un generale scetticismo nei confronti di quest’ultimo, tanto che per gli hub Pfizer e Moderna c’è il pienone fino a giugno. Mentre negli altri si trova posto dall’oggi al domani.

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