Crisi di governo, Conte resta in bilico. Renzi alza la posta: via anche Benassi

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A questo punto restano due strade, secondo Matteo Renzi. La prima è un nuovo esecutivo di Giuseppe Conte. La seconda un governo istituzionale, che finirebbe per essere inevitabilmente guidato da Mario Draghi. I due scenari sono “entrambi al 50%”, profetizza con i suoi. A lui spetta decidere sul destino della prima opzione, quella del “ter”. E lo farà, promette, in base al risultato del tavolo programmatico. Ma solo se il premier dimissionario accetterà di sacrificare molti dei suoi uomini. Un esempio è Piero Benassi, l’ambasciatore appena scelto come sottosegretario con delega ai Servizi, che il leader di Iv proporrà di sostuire con il dem Enrico Borghi.

C’è il tavolo programmatico che si apre oggi con Roberto Fico, dunque. E c’è quello politico dei leader di maggioranza. Nel tardo pomeriggio di ieri, su input di Renzi, provano a organizzare un summit notturno. Zingaretti resiste, ha dubbi. Si preferisce rinviare a oggi, se dovesse andare bene l’incontro sul programma. Servirà, eventualente, a sondare nomi e squadra di “ter”. Ma soprattutto, a leggere le carte di chi ha provocato la crisi.

E le carte del leader di Rignano sono presto scoperte. Anche se fa di tutto per logorare Conte, Renzi giura in privato di non partire da un veto pregiudiziale. “Sono laicissimo”, è la linea. In astratto, sarebbe disposto a sostenere il “ter”. A patto, però, che “mi accontentino”. E in questa richiesta mette dentro di tutto.
Mette dentro la testa di Alfonso Bonafede.

La richiesta di sostituire Benassi, troppo vicino al premier. Una nuova legge sulla prescrizione e un nuovo Guardasigilli garantista. Una diversa governance del Recovery e progetti riscritti da capo. Garanzie sulle infrastrutture. Riforme istituzionali che ridimensionino la legge elettorale proporzionale. E pure una nuova gestione del piano vaccini, da sfilare a Domenico Arcuri. In cambio, potrebbe cedere sul Mes, che comunque porterà al tavolo.

È un filo sottilissimo. Ci camminano sopra i leader, sapendo che a Renzi basta un soffio per buttare giù tutti e per cercare di far nascere un governo Draghi. Quando ne parla con ambasciatori dem, auto-elogia il suo “capolavoro politico” e lo “straordinario segnale dell’Italia a livello internazionale”. Lo sosterrebbero di certo Pd, Iv, Forza Italia. Si asterrebbe Salvini, forse Meloni. Quando ai cinquestelle, tutto è possibile: non voto, oppure un sì con delle defezioni. Ma poi, ma dopo? Quale sarebbe il prezzo pagato da tutti, e quindi anche da Iv, alla stagione dei tecnici?

Di certo non è l’opzione preferita dal Pd, che infatti si attrezza per evitarla. Ben sapendo, però, che il Colle non può far votare subito un Paese in pandemia, e che dunque la strada di un esecutivo istituzionale sarebbe segnata, in caso di fallimento di Conte. Al Nazareno immaginano però di rilanciare con una figura diversa, a quel punto, come l’ex presidente Istat ed ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini. Ma sono solo mosse tattiche, se davvero sul campo dovesse emergere Draghi.

Lo sa Conte, che infatti è preoccupato. E che non resta immobile. I canali di mediazione sono sempre attivi. Parla con Ettore Rosato e Teresa Bellanova, mentre Dario Franceschini media con tutti. E pesano anche altri mondi. Ambienti del Coni, ad esempio, pare spingano per Maria Elena Boschi – un’altra che si prodiga per un’intesa – al posto di Vincenzo Spadafora allo Sport. Altro discorso è immaginare che si spacchi Italia Viva: lo pronosticano in molti, nel Pd, ma Renzi è convinto che non accadrà. E comunque, dice, anche con due senatori “costruttori” in più il Conte ter non nascerebbe.

Chi rischia di spaccarsi di fronte alle richieste del leader di Iv sono proprio i cinquestelle. I quali dovrebbero ingoiare la retrocessione di Bonafede, la sostituzione di Lucia Azzolina, l’immagine di un premier commissariato. Troppo? Di certo è forte il sospetto che l’obiettivo di Renzi sia proprio quello di costringere Conte a farsi da parte da solo. Per impraticabilità del campo.

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