Crisi di governo, da Draghi ai big di Pd e M5S: tutte le alternative per evitare lo stallo

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 Quel che resta davvero da capire, si saprà domani. Quando sistemati i contenuti – ammesso ci si riesca – bisognerà scegliere il nome che guiderà il “nuovo governo”, come lo definisce, in un post in cui non nomina Giuseppe Conte neanche una volta, l’ex capo politico del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio.

Le alternative all’avvocato del popolo, sebbene tutti i contraenti del nuovo contratto si affannino a negarle, circolano. E la prima è quella che davvero metterebbe tutti in difficoltà, premier uscente compreso. Se davvero Mario Draghi fosse pronto ad accettare la guida di un governo politico modello Ursula, e quindi allargato a Forza Italia, per portare l’Italia e il Recovery Fund in salvo, sarebbe difficile per tutti sfilarsi.

Sia per il Partito democratico, che però vedrebbe indebolita la sua alleanza strategica con i 5 stelle, che per lo stesso Movimento. Perché il nome dell’ex presidente Bce non viene fatto solo nell’ipotesi di un governo tecnico o istituzionale, ma anche come possibile guida di un governo politico al posto di Conte. Certo, potrebbe essere l’arma fine del mondo che Matteo Renzi agita per ottenere il massimo su temi e ministeri. Nessuno però oggi, a parte lo stesso Draghi, può saperlo con certezza.

Nel corridoio che porta alla sala della Regina della Camera, allestita per le comunicazioni durante le consultazioni del presidente Roberto Fico, c’è un ritratto di Marta Cartabia, la prima donna a presiedere la Corte Costituzionale. Di fronte al quadro, è posto lo specchio riservato alle aspiranti presidenti del Consiglio, ruolo mai andato a una donna. Nonostante il buon presagio, però, le quotazioni della giurista sono in discesa.

Del resto, che questa crisi sia affidata agli uomini è evidente dalle consultazioni e dalle riunioni di queste ore. In calo anche le probabilità che l’emergenza veda prevalere l’arrivo a Palazzo Chigi del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, mentre spunta – dal Pd – il nome di Enrico Giovannini. Già braccio destro di Vittorio Colao nell’apposita, già dimenticata, commissione, ministro del Lavoro nel governo di Enrico Letta, portavoce dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo sostenibile.

Poi, c’è la politica. Del post di Luigi Di Maio si è detto: il ministro degli Esteri uscente ha lavorato per Giuseppe Conte in queste settimane, è stato il primo ad avvisarlo che l’operazione responsabili rischiava il fallimento, ma ha un drappello di fedelissimi che lo spingono verso il grande salto. Solo che, la sua ascesa alla premiership rischierebbe di spaccare sia i 5 stelle che il Pd. “Indigeribile”, dice un dirigente dem. Che però non dà chance neanche a un’operazione che vedesse in quella posizione l’antagonista di sempre, Roberto Fico (per il quale valgono specularmente le stesse difficoltà di Di Maio).

Un Pd come Dario Franceschini, avrebbe contro buona parte dei gruppi M5S che già avvisano: “Rischiamo di perdere posti e peso nel governo”. Ma resta una possibilità. Come Lorenzo Guerini, a capo della corrente Base riformista che è riuscita a condizionare la linea dem. E poi, c’è lo scambio fatto circolare qualche giorno fa (ma sempre da Renzi): il commissario europeo Paolo Gentiloni al posto di Giuseppe Conte, e viceversa. È dato in discesa, pure questo. Ma è un fatto che fino a domani, il tavolo sui temi terrà il nome del premier coperto. E che nessuno è pronto a scommettere sia quello di prima. “Perché dipende da Renzi”, dicono 5 stelle, Leu e Pd. Forse, però, non solo da lui.

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