Crisi di governo, M5S; fallito il blitz di Conte per scalare la leadership del Movimento

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ROMA – Il tavolino con i microfoni in mezzo a piazza Colonna, il vento fra i capelli, la passeggiata con telecamere al seguito fino al portone di casa, i selfie concessi – senza sosta – ai passanti. Giuseppe Conte ha smesso i panni inamidati da avvocato e ha deciso che la politica è il suo mestiere. Si è dipinto, per oltre due anni, come una specie di civil servant. «Mi sento un uomo delle istituzioni», ripeteva a ogni intervista, a ogni incontro pubblico, e invece. Invece erano altre, le ambizioni, oppure lo sono diventate. Per la velocità con cui gli esponenti del suo governo sono passati da #avanticonConte a #grazieConte, per la luce fioca che illumina ormai quello che un tempo era considerato – dal segretario del Pd – il «fortissimo punto di riferimento delle forze progressiste» e che ora si è visto sottrarre ufficio, palcoscenico e ribalta da Mario Draghi.

Il premier uscente rifiuta – per ora – anche solo l’idea di avere un posto da ministro nel governo, ma non perché voglia tornare al suo lavoro all’Università, tutt’altro. Quel che Conte vuole, e lo ha dimostrato con quella diretta improvvisata adatta più a un comizio di Alessandro Di Battista che al messaggio alla nazione di un presidente del Consiglio ancora in carica, è «prendersi il Movimento».
Non c’è un altro modo per dirlo, e infatti così lo dice chi gli è vicino. L’ipotesi della lista è rimasta in piedi finché serviva a convincere i “responsabili”, come consigliava il suggeritore Bruno Tabacci. Ma è morta nel giorno in cui l’intera operazione si è dimostrata un’illusione ottica, mandata all’aria da un disegno che aveva probabilmente già previsto di fare a meno di lui.

«Beppe, ma sei sicuro che abbia senso votare adesso per il nuovo organo collegiale? Non è meglio aspettare?», ha chiesto Conte a Grillo sabato scorso, quando i due si sono ritrovati faccia a faccia e il Garante continuava a dirgli: «Tocca a te, ti aiuto io».
Il fondatore M5S gli ha assicurato il suo sostegno, sarà più presente – sarà di nuovo qui questa settimana – proprio per aiutarlo nel Movimento, ma è rimasto dubbioso. Fermare una macchina già tenuta in panne per settimane, proprio dalla crisi, non era semplice. A mettersi di traverso è stato lo stesso Davide Casaleggio: «Avete voluto questo voto, adesso si fa. Possiamo indirlo subito prima di quello per il governo Draghi, tanto serve la maggioranza assoluta degli iscritti, non ci sarà mai e si andrà alla settimana dopo».
«Anche volendo – rivela chi conosce da vicino i meccanismi di Rousseau – era tardi per fermare tutto». Ma quello tentato da Conte sarebbe stato, secondo chi ha assistito alle discussioni, una specie di “golpe”.

Il tentativo di prendere tempo per scalare il Movimento e far abbandonare ai 5 stelle una strada che li ha divisi, con i “governisti” da una parte e i “dibattistiani” dall’altra. Non è un mistero che il portavoce Rocco Casalino non sia mai stato convinto degli Stati generali M5S e dei tanti cambiamenti che hanno chiesto, a partire dalla rescissione del legame indissolubile con la piattaforma Rousseau. E sebbene tutto si possa fare con l’avallo di Grillo, perfino cambiare idea in 12 ore sul governo dell’ex presidente della Bce, mandare in soffitta mesi di discussioni è sembrato troppo perfino al manager milanese.

Le ambizioni di Conte però non cambiano. A sostenerlo, oltre al Garante, c’è il presidente della Camera Roberto Fico, convinto sia l’unico che possa tenere il Movimento nel campo riformatore del centrosinistra, allontanandolo per sempre dai sovranisti (i tempi in cui l’avvocato difendeva le parole populismo e sovranismo, quelle in cui paragonava giustizialismo e garantismo, appaiono assai lontani). L’idea che sia lui a guidare i grillini piace anche al Pd, per il quale sarebbe molto più facile sostenere un’alleanza a sinistra con una forza trasformata da una guida come la sua: popolare, progressista, ambientalista, ma ancorata ai valori repubblicani e lontana da sirene no vax o rossobrune.

L’idea è che Conte si prenda il Movimento per portare a termine una trasformazione già cominciata e considerata ormai – lo ha detto lo stesso fondatore – ineluttabile. Per questo, quando domenica alle 22.10 l’avvocato si è collegato con l’assemblea dei parlamentari, per la prima volta ha detto «Noi». Lo hanno notato tutti, sulle chat, così come hanno notato che in quel momento c’era qualche giornalista collegato in incognito: «Era tutto studiato per mandare le sue parole in agenzia», scrive un deputato sospettoso. Dopo il discorso ci sono state le lacrime, gli applausi, le repentine conversioni al governo Draghi, certo, ma non sarà facile. «Beppe lo sta mandando a sbattere», profetizza chi conosce bene entrambi. Non è detto che sia così, ma non è neanche detto che non possa accadere.

 

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