Crisi Whirlpool, prima protesta dell’era Draghi: presidio di 140 operai al Mise

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ROMA – Loro non hanno aspettato neanche il voto di fiducia al nuovo governo. In centoquaranta sono saliti sul treno a Napoli e da questa mattina presidiano a Roma il ministero dello Sviluppo Economico per testimoniare la propria disperazione. Sono le operaie e gli operai della Whirlpool di Napoli, protagonisti della prima manifestazione di protesta davanti all’esecutivo Draghi. E’ l’ennesimo cambio di guardia a Palazzo Chigi, al quale assistono mentre resta irrisolta la crisi della fabbrica di lavatrici napoletana che la multinazionale americana ha deciso di chiudere. Senza se e senza ma, nonostante il pressing (a dire il vero poco convinto e spesso tardivo) dei precedenti governi.

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I lavoratori della Whirlpool (che a Napoli sono complessivamente 357) chiedono un confronto in tempi brevi con il nuovo ministro dello Sviluppo Economico, e per Giancarlo Giorgetti si tratta del debutto sul fronte delle crisi industriali italiane.  Gli oltre cento tavoli (tra i quali 70 in piedi da più di tre anni e 28 da sette), che vanno dall’emergenza delle emergenze, cioè il destino dell’acciaio ex Ilva e dei suoi 13mila lavoratori, all’alluminio della Sider Alloys in Sardegna (la ex Alcoa); dalla ex Fiat di Termini Imerese al polo nazionale dei compressori ItalComp (ex Embraco-Acc); dall’elettronica della Jabil, in Campania, agli autobus della IIA, ancora all’acciaio della Jindal di Piombino. Solo per ricordare i casi più iconici del declino manifatturiero italiano. Centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio.

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Giorgetti li eredita dai suoi predecessori, ma c’è un filo rosso che li lega quasi tutti e che il nuovo titolare del Mise non può eludere, salvo un capovolgimento del paradigma di quel poco di politica industriale portata avanti dagli ultimi governi: il ruolo di pivot dello Stato (per lo più attraverso Invitalia) previsto fin qui dai vari progetti di salvaguardia e rilancio delle fabbriche. Ecco perché il caso Whirlpool, ben al di là del numero di lavoratori coinvolti e della manifestazione di oggi, rappresenta il paradigma di qualsivoglia crisi.

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Una multinazionale, quella americana, che, nonostante il “piccolo Rinascimento” del settore elettrodomestici (Whirlpool nel mondo ha registrato un più 75% degli utili nel terzo trimestre 2020), da due anni non recede di un centimetro dalla decisione di chiudere lo stabilimento di Napoli perché ritenuto non redditizio rispetto agli altri che possiede in Italia; l’inesorabile esaurirsi degli ammortizzatori sociali che precipita i lavoratori verso il licenziamento; la difficoltà di Invitalia a trovare soggetti industriali adeguati al rilancio (e, magari, alla riconversione produttiva) della fabbrica di via Argine. Il tutto in una regione (la Campania) e in un territorio (il Sud) che non può certo permettersi ulteriori tensioni economiche e sociali.

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Giorgetti, in sostanza, mentre da un lato dovrà seguire le coordinate di transizione ambientale e tecnologica tracciate dal premier Mario Draghi, dall’altro si troverà a dover affrontare (e possibilmente risolvere) emergenze produttive e occupazionali che non possono attendere i tempi non brevi della rivoluzione industriale immaginata dal nuovo governo. Lo capirà fin da oggi ascoltando i cori delle operaie e degli operai Whirlpool, che salgono da via Molise (“Napoli non molla”, lo slogan dei 140). Tra loro anche giovani e donne, altri protagonisti assoluti del discorso programmatico del premier incaricato.

“Noi ricordiamo al ministro – spiegano i lavoratori – che nonostante 21 mesi e 3 governi ancora non è cambiato nulla, le vertenze come le nostre sono ancora aperte e molti lavoratori rischiano di perdere il loro futuro. Nel giorno della fiducia, siamo qui per ribadire che si deve partire da subito nella difesa dei nostri diritti, garantendo il lavoro, la ripresa e il futuro del Paese”. Per il leader della Fim-Cisl, Roberto Benaglia, “sul tavolo di Giorgetti la vertenza Whirlpool deve essere una priorità. Al nuovo governo chiediamo di far rispettare gli accordi sottoscritti al Mise e di dare risposte a 350 famiglie”. Gli fa eco Francesca Re David, leader di Fiom-Cgil: “Il Recovery Fund non può partire chiudendo le fabbriche che già esistono. Occorrono soluzioni vere per salvaguardare gli stabilimenti e quei lavoratori che hanno competenze importanti”.

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