Cronache dal “sottosuolo”: viaggio nelle borgate di Palermo dove il Covid è lotta di classe

Pubblicità
Pubblicità

Via Albergheria. Nei vicoli dove di Covid si sono ammalati in settanta abita anche Maddalena Maggio, con i quattro figli e la suocera. Nelle palazzine così vicine che dalle finestre ci si può toccare, ci abitano zii e cugini: “Ma sono come parenti anche quelli con i quali non c’è un legame di sangue”. La strada come l’estensione del proprio salotto, tanto il salotto chi ce l’ha? Ma anche la necessità di uscire ogni giorno “perché se mio marito non monta la bancarella noi non mangiamo”, racconta Maddalena che puliva i b&b quando ancora erano aperti.

Il virus dilaga nelle periferie: case strette e sovraffollate, quarantena preventiva impossibile altrimenti non si può mettere la pentola sul fuoco. Ma anche presìdi di prevenzione – a cominciare  dalla Fiera del Mediterraneo – lontanissimi per chi è senza mezzi e dovrebbe prendere due bus all’andata e due al ritorno per fare un tampone. A Palermo il Covid diventa lotta di classe, con i ‘ricchì che possono pagare un tampone periodico o mettersi in fila per un paio d’ore alla Fiera e i ‘poverì che il tampone se lo fanno solo quando ormai è troppo tardi e i contagi sono diventati focolai.

Basta guardare la mappa dei casi per quartieri per rendersi conto di quali sono le zone più colpite dal virus: Sperone e Brancaccio (con la seconda circoscrizione che ha registrato 160 casi in più in una sola settimana), Zen, Arenella e Vergine Maria. Ma anche le ‘periferiè del centro, dal Borgo Vecchio all’Albergheria. E adesso che la terza ondata sta entrando nel picco, le associazioni che lavorano nei territori  chiedono di decentrare la prevenzione con hub di quartiere per tamponi e vaccini. 

L’arte di arrangiarsi

Il virus fa paura, ma la fame di più. A casa di Maddalena si vive col reddito di cittadinanza, 480 euro per sei che non bastano mai. La bancarella – quella che il marito monta ogni mattina – è l’unico modo di “arrangiarsi”. Il Covid se lo sono presi tutti e la suocera, settantenne, è finita in ospedale. “Senza la solidarietà non avremmo avuto di che mangiare” dice Maddalena che, curato il Covid, sta curando adesso la profonda prostrazione nella quale la malattia l’ha trascinata. Le famiglie dell’Albergheria sono state prese in carico dal Comune. Maddalena ha chiesto anche i buoni spesa mentre nel quartiere le file per i pacchi di pasta sono sempre più lunghe. Uno scenario identico al Cep e allo Zen dove dopo una settimana con i mercatini rionali vietati, i contagi si sono drasticamente ridotti mentre quella dopo sono tornati a salire.

Mariangela Di Gangi, dell’associazione ‘Zen insieme’, a marzo con i suoi operatori ha distribuito mascherine fra i padiglioni: “Non è una questione di controlli, né del tracciamento in sé dei contagi. Siamo di fronte a delle persone che per scelta o per necessità spesso di ritrovano fuori dalle regole condivise e in questo caso rischiano di recepire meno di altri le norme anti-Covid. Ma dopo l’opera di sensibilizzazione che abbiamo fatto a marzo i risultati ci sono stati. Servono servizi di prossimità”. Pure all’Arenella per contenere i contagi sono stati sospesi i mercatini rionali e le mamme hanno chiesto e ottenuto la Dad quando i coetanei delle altre scuole erano ancora in presenza. Ma il conto che sta pagando il quartiere è altissimo:  “Qui in ogni famiglia c’è stato almeno un caso e abbiamo pianto troppi morti”, spiega il consigliere Vincenzo Sandovalli. 

Padre, figlio e Astrazeneca

Del resto, per dirla con padre Ugo di Marzo che il sabato di Pasqua allo Sperone ha aperto le porte della sua parrocchia per le vaccinazioni, come stupirsi delle periferie-focolaio?: “Case sovraffollate dove abitano dieci persone in pochi metri quadri, una città che viene considerata lontanissima” e l’esigenza di andare al lavoro per portare un po’ di spesa a casa. Padre Ugo, aderendo alla campagna di vaccinazione, sapeva bene che nella parrocchia tra i casermoni di case popolari si sarebbero vaccinati in pochi. “Qui non siamo in via Libertà: i settantenni hanno fatto una vita dura, incompatibile con Astrazeneca”. All’istituto comprensivo Sperone-Pertini l’ultimo caso di un’alunna positiva asintomatica ha gettato nella disperazione tutta la famiglia: “La mamma lavora come parrucchiera e vive del suo solo stipendio: è rimasta ferma per un mese”, racconta la preside, Antonella di Bartolo, pronta ad aprire la palestra della scuola per i tamponi rapidi e le vaccinazioni. “Nel quartiere – aggiunge – tanti non hanno l’auto per arrivare al drive-in della Fiera e andare a piedi significa cambiare tram e bus e spendere almeno cinque euro a testa di biglietti. Il tampone a pagamento è escluso. Ecco perché diventa impossibile fare un vero screening. Mi stupisce che chi ci governa non lo capisca. Chiudere le scuole è una soluzione semplice per un problema difficile”.

Tamponi di quartiere

Per prevenire bisogna ‘avvicinarè la prevenzione alle persone.  Al Borgo Vecchio ne sono convinti, tanto che Anomalia ha organizzato un’assemblea virtuale per raggiungere medici, infermieri e volontari pronti a dare una mano se si riuscisse nell’impresa di trasformare il centro sociale in un hub per le vaccinazioni. La richiesta ufficiale è arrivata giorni fa all’ufficio del commissario Renato Costa: “Crediamo non ci siano altre strade. Il nostro ambulatorio attivo da tempo sul territorio può essere implementato e assolvere a una funzione indispensabile”, dice Giorgio Martinico di ‘Anomalia’.  A piazza Santa Chiara entro maggio dovrebbe aprire un poliambulatorio di rete – da Caritas a centro Astalli ad Arci Porco Rosso a tanti altri – che punterà moltissimo sulla prevenzione. “L’idea di poter diventare un giorno un hub vaccinale ci piace moltissimo”,  dice Simona La Placa di ‘Astalli’.

  Associazioni in prima linea

L’ultima a bussare alla porta dell’emporio solidale, a due passi dalla stazione centrale, è stata Fabiola. Cercava un passeggino per il suo bimbo di sei mesi e non aveva i soldi per comprarlo. Ci hanno pensato i volontari dell’organizzazione umanitaria ‘Life and lifè che da un anno non si sono mai fermati raggiungendo famiglie di Ballarò e di Brancaccio, dello Sperone e di via Oreto. Pacchi della spesa, contanti per pagare l’affitto e le bollette o il tablet per i bambini in Dad. Al Cep, l’associazione ‘San Giovanni Apostolò ha raddoppiato il numero delle famiglie assistite con i pacchi della spesa. E in coda sono finiti anche Maria e Paolo, li chiameremo così con nomi di fantasia, che per una vita hanno gestito un’attività commerciale. Dopo l’inchiesta di Repubblica su come il Covid sia diventato lotta di classe nelle borgate e nelle periferie, le associazioni raccontano cosa significa da un anno fronteggiare la pandemia lì dove la povertà dilaga, dove non arrivano buoni spesa né ristori perché nessuno è in regola. Lì dove il nemico è la criminalità che diventa tentazione. E così negli spazi dentro a quali si organizzavano spettacoli per bambini oggi si smistano bottiglie di salsa e pacchi di zucchero; il tempo prima investito per organizzare gite alla scoperta della città – che vista da certi quartieri appare irraggiungibile – è ora impiegato per aiutare le famiglie a compilare i moduli per i buoni spesa.

Doposcuola a distanza

All’Albergheria l’associazione Parco del Sole  assicurava a quaranta bambini del quartiere, tra i 6 e i 13 anni, laboratori di percussioni e lettura creativa, di ceramica e di pittura. Adesso i volontari li accompagnano a fare i tamponi, pagandoli di tasca loro se serve, e li aiutano a distanza con i compiti. “La Fiera del Mediterraneo da qui è un altro mondo”, dice il responsabile Massimo Messina che lavora in uno dei quartieri focolaio con decine di positivi. “Abbiamo cercato di reinventarci per sostenere le famiglie nei modi nuovi che la pandemia ci ha imposto”. E allora tamponi e pacchi spesa, contributi per le utenze ma soprattutto doposcuola a distanza. 

Le vie dello spaccio

“Nel nostro caso abbiamo dovuto riorganizzarci perché le richieste di aiuto sono raddoppiate. Non possiamo lasciare indietro nessuno, dobbiamo arginare quello che abbiamo sotto gli occhi”, racconta Antonietta Fazio che in questo ultimo anno ha visto i suoi ragazzi sparire nel buio dei viali. “Povertà nelle periferie significa fragilità ed è lì che la criminalità si insinua: lo spaccio è aumentato tantissimo”. E per salvare i ‘ragazzi fuorì l’associazione ha cercato di rispondere ai bisogni primari delle famiglie. E la sorpresa è che quelle che mai si sarebbero sognate di chiedere aiuto, hanno voluto restituire offrendo le proprie braccia e il proprio tempo: Maria e Paolo imbustano la spesa e se serve la consegnano a domicilio ai positivi. ‘Life and life’, venerdì scorso, ha fatto arrivare le pizze nelle case di otto famiglie numerose, come racconta la responsabile Valentina Cicirello: “Anche chi percepisce il reddito di cittadinanza alle volte non ce la fa. Assistiamo una mamma sola con tre bambini che se non ci fossimo noi non saprebbe a chi chiedere aiuto”.

Dalla spesa al disbrigo pratiche

A raccogliere gli sos lanciati dalle famiglie di Brancaccio ci pensa il centro di accoglienza ‘Padre nostro’. “Bisogna vaccinare prima le persone in gravi difficoltà economiche. Chi non ha niente spesso non rispetta la quarantena o l’isolamento. Esce da casa per guadagnare pochi euro”, dice Maurizio Artale del centro di accoglienza. Così i volontari al momento hanno in carico una ventina di famiglie in quarantena. “Portiamo la spesa e i farmaci. Ma ce ne sono oltre trecento che aiutiamo da un anno stabilmente con la distribuzione della spesa”, racconta ancora Artale. Tutti quelli che giravano per il quartiere alla ricerca di ferro e del rame si sono dovuti fermare, il pescivendolo abusivo all’angolo di via Brancaccio pure. “Per tutti ci siamo noi. Spieghiamo alla gente che deve chiedere aiuto, e che il Covid può essere l’occasione per mettersi in regola”. Alla comunità di Sant’Egidio, che opera principalmente nel quartiere del Capo ma che gira la città per distribuire il cibo ai senza tetto, ha cominciato a rivolgersi anche chi fino a un anno fa lavorava riuscendo a sostenere i costi dell’affitto e delle bollette. “Una coppia con tre figli fra cui un neonato che prima non aveva bisogno di noi –  dice Rosario Riginella della comunità che si è trasformata con la pandemia in ufficio disbrigo pratiche -. Ci chiedono aiuto per le questioni burocratiche, dal buono spesa alla prenotazione del vaccino se ne hanno diritto”. Parola d’ordine: esserci.

La voce del Comune

“Come usciremo dalla pandemia? Io credo migliori perché nei quartieri più fragili sta finalmente passando il messaggio che vivere nell’irregolarità non conviene”. Giuseppe Mattina, assessore alle Attività sociali del Comune di Palermo, risponde al telefono dal Cep dove sta lavorando per far partire appena possibile una campagna di screening di massa, in collaborazione con l’Asp, per valutare le condizioni generali di salute dei residenti indeboliti dal Covid. Iniziativa che si ripeterà in altre zone della città. Mattina racconta quello che il municipio sta facendo per cercare di aiutare i più deboli che il virus ha trascinato ancora più in fondo al baratro della povertà.

Che senso ha la zona rossa se poi nelle borgate le famiglie, che abitano in case sovraffollate, si contagiano a macchia d’olio e i positivi sono costretti a uscire di casa per lavorare? 

“Il Covid ha ampliato il divario tra chi era in difficoltà e chi no. Non solo i poveri, ma anche i disabili, gli anziani. Sta pagando un prezzo altissimo soprattutto chi lavora in nero e non ha potuto chiedere nessun genere di aiuto. Quella che l’amministrazione sta facendo è garantire la presenza, girando circoscrizione per circoscrizione sensibilizzando e spiegando quali sono le possibilità per chiedere assistenza. Siamo stati in decine di quartieri, dallo Zen al Cep, da Brancaccio all’Alberghiera, a distribuire mascherine e a spiegare i rischi del Covid. Ma anche cosa fare per mettersi in regola e chiedere aiuti”.

Il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e Giuseppe Mattina, assessore alle Attività sociali  Che genere di supporto avete garantito?

“Dall’inizio della pandemia abbiamo erogato 31mila buoni spesa, con le richieste che aumentano in modo esponenziale quando entriamo in zona rossa. Abbiamo pagato un anno di affitto a 600 famiglie che non sapevano come affrontare la spesa. E, per chi non era nelle condizioni di presentare una domanda per gli aiuti, perché irregolare o abusivo, ci siamo rivolti alle associazioni: 2,6 milioni erogati a 26 realtà che finora hanno assistito più di 6mila famiglie rimaste fuori da tutto”.

Come aiutate le famiglie a prevenire il Covid se l’unico centro per i tamponi gratuiti è alla Fiera del Mediterraneo, irraggiungibile per molti?

“Per i tamponi, che non dipendono da noi, valgono delle regole di sicurezza e luoghi dedicati. Ma sono invece assolutamente convinto che la campagna di vaccinazione vada organizzata creando più hub che raggiungano più cittadini possibili. Bisogna avvicinarsi alle persone e spiegargli perché è importante immunizzarsi. Sui tamponi stiamo cercando di monitorare con controlli periodici anche i senza fissa dimora”.
 

Da alcuni quartieri è arrivato il sos criminalità.

“Chi vive nell’irregolarità è finito nel mirino di chi voleva approfittare della fragilità. Ma per fortuna il lavoro delle forze dell’ordine ha stanato molti tentativi: penso, per esempio, alla distribuzione della spesa allo Zen. Il lavoro che stiamo facendo è quello di spiegare come vivere fuori dalle regole non convenga a nessuno  e il segno della rivoluzione culturale è che molti ci stanno chiedendo aiuto per emergere. Accade a Ballarò, per dire: con il sindaco abbiamo fatto già più di una riunione per individuare un percorso che aiuti chi vuole a regolarizzarsi così da poter accedere agli aiuti altrimenti negati. E’ una battaglia che possiamo vincere. La più grande risposta contro tutte le mafie”.
 

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *