Da “dress code” a “competitor” le 15 parole inglesi da evitare, la battaglia linguistica della Crusca

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Non si tratta soltanto dello “smart working” o del contributo “baby sitting” finiti nel mirino del presidente del consiglio Mario Draghi che, venerdì, ha interrotto il suo discorso al centro vaccinale di Fiumicino domandandosi: «Chissà perché dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi?». Né di tutte quelle espressioni – a cominciare da “lockdown” – diventate d’uso comune proprio nei mesi difficili della pandemia. Per l’Accademia della Crusca sono tanti e attraversano ormai ogni campo dello spazio pubblico i termini anglofoni utilizzati impropriamente, e perfettamente sostituibili con equivalenti italiani. Un terreno insidioso, sul quale l’istituzione di riferimento per la lingua italiana e il suo vocabolario, fondata a Firenze nel 1583, si batte ormai da anni, con numerosi appelli da parte dei suoi studiosi ma anche attraverso le consulenze linguistiche regolarmente pubblicate sul sito www.accademiadellacrusca.it. Abbiamo chiesto al presidente dell’Accademia, Claudio Marazzini, quali sono oggi gli anglicismi più abusati e di cui potremmo facilmente fare a meno, e la loro traduzione italiana. Lui ne ha selezionati quindici:

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Authority: nel nostro ordinamento abbiamo quella per la protezione dei dati personali, o quella per le garanzie nelle comunicazioni. L’equivalente italiano, “autorità”, funziona benissimo.

Performance: ormai è entrata nei nostri statuti, e gli italiani ostinatamente la pronunciano con l’accento sbagliato, “pèrformance”. Basterebbe usare “prestazione”.

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Competitor: vanno bene sia “competitore” che “concorrente”.

Slide: molti pensano erroneamente che sia intraducibile con “diapositiva”, credendo che si riferisca soltanto alle proiezioni fatte con un computer. Ma è una stupidaggine: se mostriamo a un madrelingua inglese una vecchia diapositiva analogica, la chiamerà “slide”.

Baby sitting: è una delle due espressioni citate da Draghi, possiamo tradurla semplicemente con “assistenza dei bambini”.

Caregiver: stesso ragionamento, possiamo usare “familiare assistente”.

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Endorsement: va molto di moda nel linguaggio politico, ma significa “appoggio” o “sostegno”.

Sold out: è semplicemente “tutto esaurito”.

Auditing: molto usato in ambito universitario, può essere tradotto con “audizione”, “esame”.

Panel: nei convegni, è un “gruppo” che fa qualcosa.

Standing ovation: basta un’”ovazione”, magari anche da seduti.

Backstage: è il nostro “retroscena”.

Smart: si usa tantissimo per computer, automobili, telefoni, o per la seconda classe dei treni di Italo (mentre Ferrovie, dal canto suo, definisce la prima “business”), ma significa semplicemente “furbo”, “intelligente”. Così come lo “smart working” non è altro che il “lavoro agile”.

Dress code: storicamente nell’etichetta italiana si parla di “abito scuro” ma, ora che in certi ambienti non è più obbligatorio, si può dire “abito adeguato”. La presidenza della Repubblica, comunque, usa ancora, nei suoi inviti, “abito scuro”.

Fake news: è una notizia falsa, una panzana, una bufala.

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