Khmelnytskyi Oblast, Ucraina. Foto di Artur Widak/NurPhoto
Vedi quello che non vedi. Quello che da lontano non potresti vedere. L’uomo vestito da Babbo Natale che, attraversando uno spiazzo, passa davanti a un memoriale per i caduti in guerra. Khmelnytskyi, Ucraina. È una fotografia che diremmo bella – un cortocircuito emotivo, paradosso natalizio – ma l’aggettivo “bella” è incongruo, forse inaccettabile. Trovare gli aggettivi per cento tra le migliaia di immagini arrivate in questi mesi dai fronti del conflitto, trovare le parole per cento volte non è stato facile. Le intramontabili domande di Susan Sontag: distogliere lo sguardo oppure tenerlo fisso come cambia il nostro rapporto con il dolore degli altri? Non cambia quel dolore. E tuttavia ne siamo avvertiti; e nel rischio, pure presente, di assuefazione un dettaglio, un colore, una scia di luce possono risvegliarci dalla distrazione, dal sonno.
Vedi quello che non vedi, vedi: un cratere in un parco giochi, un padre che tiene la mano del figlio tredicenne ucciso. Vedi l’uomo mutilato, una teiera fra le munizioni. Corpi di soldati russi disposti per sfregio a comporre una z, il simbolo dell’invasione. Corpi di soldati ucraini ammassati nelle fosse comuni. Corpi di animali: cavalli uccisi lungo la strada nella regione di Hostomil, oche che attraversano la strada nel rumore dei bombardamenti nel villaggio di Mala Tokmatchka, a sud di Zaporizhzhia. Una storia parallela, la guerra degli umani che coinvolge crudelmente anche i non umani.
Cento foto sono cento romanzi che nessuno ha ancora scritto. Ma sono romanzi che abbiamo il dovere di immaginare: e il commentatore social che le liquida con insofferenza, con fastidio, è privo di coraggio. Una specie di Scrooge imbalsamato: preferirebbe negare l’evidenza, scommettere che si tratti di messa in scena propagandistica, piuttosto che ammettere un dato banalmente e terribilmente umano. La fortuna di non essere la donna che piange su una forma di pane, il ragazzino disorientato nella città sventrata, il vecchio trascinato su una carriola. La fortuna che il proprio nome non coincida con quello di un semivivo dal corpo segnato, con il nome di un morto scritto in stampatello sulla parete di un rifugio, o su una lapide di carta.
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